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Altamente improbabile in euro zona quest’anno un aumento dei tassi

L’INTERVISTA. PHILIP LANE. IL CAPO ECONOMISTA DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA: GUARDIAMO AL MEDIO TERMINE E LE NOSTRE PROIEZIONI INDICANO CHE L’INFLAZIONE NELL’EUROZONA TORNERÀ SOTTO L’OBIETTIVO DEL 2% NEL 2023 E NEL 2024

È «altamente improbabile» che i tassi Bce saliranno quest’anno perché l’inflazione tornerà sotto l’obiettivo del 2% nel 2023 e nel 2024, diversamente da Usa e Regno Unito. La ripresa è solida, in Italia e in Europa. E la Bce si tiene come sempre pronta ad intervenire contro la frammentazione, cioè, l’allargamento degli spread. «La politica monetaria non può essere meccanica quando vale per 19 Paesi». Così Philip Lane, capo economista della Bce, in un’intervista esclusiva con Il Sole 24 Ore.

L’inflazione nell’area euro è salita al 5% a dicembre, un record: questo dato deraglia il corso della vostra politica monetaria?

Nelle nostre proiezioni a dicembre abbiamo valutato che l’inflazione alla fine del 2021, compreso il mese di dicembre, sarebbe stata alta. Ma riteniamo anche che l’inflazione calerà quest’anno, che scenderà sotto il nostro obiettivo del 2% nel 2023 e nel 2024. È questo che guida la nostra politica monetaria. Guardiamo oltre l’inflazione che abbiamo ora: la politica monetaria è basata sul medio termine.

Intanto i cittadini europei pagano di più per i beni alimentari, la benzina, l’elettricità. Fino a che punto la Bce è pronta a tollerare questo rialzo?

Il 5% di inflazione in dicembre è un livello insolitamente alto, dominato dall’energia che è salita del 26% l’anno scorso. Il punto chiave per noi come banca centrale è: vediamo cambiamenti nelle decisioni delle imprese, delle famiglie? Vediamo cambiamenti nella contrattazione salariale? Ebbene, non vediamo comportamenti tali che possano farci pensare che l’inflazione rimarrà sopra il nostro obiettivo nel medio termine. Sapevamo che alla fine del 2021 avremmo avuto una concentrazione di pressioni sui prezzi, data specialmente dal grande aumento dei prezzi energetici. Ma la narrativa resta invariata.

E cioè, i tassi d’interesse non saliranno quest’anno?

Torniamo alla nostra valutazione di dicembre, in base alla quale l’inflazione non solo scenderà quest’anno ma si stabilizzerà sotto il nostro obiettivo nel 2023 e nel 2024. Quindi, i criteri per muovere i tassi al rialzo non ci sono. Questa resta la nostra opinione.

Molti sui mercati si aspettano un rialzo a fine anno: c’è un problema di comunicazione?

I dati che abbiamo rendono altamente improbabile che i criteri per alzare i tassi si verificheranno quest’anno. Il prossimo anno e l’anno dopo ancora, gli stessi criteri verranno applicati: sono criteri molto chiari e i mercati li possono studiare. Ma vorrei focalizzarmi su un elemento, un nostro controllo incrociato: per alzare i tassi dobbiamo vedere un progresso sufficiente nell’inflazione di fondo. E a causa della pandemia è più difficile interpretare gli indicatori dell’inflazione di fondo. Ci vorrà del tempo per filtrare gli effetti della pandemia, per avere una valutazione adeguata di cosa accade nell’inflazione di fondo. Abbiamo sottolineato più volte che l’elemento centrale per comprendere l’andamento dell’inflazione di fondo è sapere cosa accade nell’andamento dei salari. Seguiremo gli accordi salariali nel corso di quest’anno. Dietro i prezzi ci sono costi, e il costo più importante nell’economia è quello dei salari. Il costo del lavoro è una grossa parte del livello generale dei prezzi, e i costi del lavoro tendono a muoversi in maniera più persistente, più gradualmente. Ma un movimento significativo nell’inflazione di fondo è improbabile senza un aumento importante dei salari. Finora, i dati sui salari non indicano alcuna accelerazione forte dell’inflazione di fondo.

Non corriamo il rischio di importare inflazione?

I cambi fanno parte del ciclo pandemico. Nel 2020 l’euro si è apprezzato. Di recente, è sceso. Confrontato ai livelli pre-pandemici, abbiamo avuto un apprezzamento dell’euro e adesso un deprezzamento. Non è un elemento principale. Non mi focalizzerei sul cambio.

Perché la Bce estende la politica accomodante quando Fed e Bank of England iniziano la stretta?

C’è una differenza cristallina. Negli Usa e nel Regno Unito, la valutazione è che l’inflazione non si stabilizzerà sull’obiettivo del 2% senza una stretta monetaria. La discussione sulla politica restrittiva in quei due Paesi dipende dalla valutazione di un’inflazione che resterà sopra il target: per questo la stretta è considerata necessaria. La nostra analisi per l’area dell’euro è diversa: qui ci aspettiamo che l’inflazione non solo tornerà al livello dell’obiettivo ma scenderà sotto il target. Quindi la nostra reazione di politica monetaria è diversa. Questo è il punto chiave.

Sarà cristallino, ma c’è una grande confusione a causa di fattori eccezionali come la pandemia e i colli di bottiglia: non ci sono precedenti, non c’è uno storico con il quale confrontarsi.

È importante riconoscere l’impatto pervasivo della pandemia sull’inflazione. Prendiamo i tre anni pandemici, 2020, 2021 e 2022. Nel 2020 abbiamo avuto inflazione bassa o persino disinflazione. E questo è stato uno dei motivi che ci ha portati a reagire con il Pepp, il programma di acquisti per l’emergenza pandemica. La Bce ha una posizione simmetrica: un’inflazione troppo alta e un’inflazione troppo bassa sono ugualmente indesiderate. Nel 2021, l’economia mondiale e l’economia europea si sono riprese più velocemente del previsto: la ripresa è stata veloce per le vaccinazioni, la domanda è stata forte e l’offerta non è potuta stare al passo per colpa dei colli di bottiglia nel sistema produttivo. Nei primi stadi della pandemia, alcuni Paesi hanno reagito con misure speciali come il taglio dell’Iva in Germania. E quando questo è stato smantellato nel 2021, ha fatto salire i prezzi. Abbiamo visto molti fattori speciali che hanno portato a un’inflazione insolitamente bassa nel 2020 e insolitamente alta nel 2021. Considero il 2022 una fase transitoria, con una graduale uscita dalla pandemia: l’elevata pressione sull’inflazione vista nel 2021 svanirà quest’anno, ma il 2022 resta ancora parte del ciclo pandemico. E quando la pandemia sarà finita, nel 2023 e nel 2024, l’inflazione si stabilizzerà su un livello più basso, circa l’1,8%, un livello che è molto più vicino al nostro obiettivo rispetto a quello che avevamo prima della pandemia. L’inflazione non tornerà ai livelli pre-pandemici. Abbiamo avuto un progresso, intervenendo con il supporto della politica monetaria e fiscale. La ripresa economica nel 2023 e nel 2024 nell’area dell’euro riporterà l’inflazione più vicina al nostro target.

La ripresa economica nell’area dell’euro e in Italia è solida, nonostante i colli di bottiglia?

I colli di bottiglia sono un altro fattore temporaneo. Se c’è una carenza nella produzione oggi significa che ci sarà più produzione domani. Il libro degli ordinativi è molto buono. Nel complesso, in Europa vediamo un motore di crescita solido quest’anno, nel 2023 e 2024. E questo vale anche per l’Italia. Prima di tutto, il rimbalzo dopo la pandemia: l’Italia è stata colpita molto duramente nel 2020 e ha avuto una ripresa forte nel 2021, anche se alcuni settori come il turismo e i viaggi non sono tornati alla normalità. Il piano Next Generation EU (NGEU) è un altro motore per la crescita e l’Italia è uno dei suoi principali destinatari. Qui è dove vedo la differenza tra la pandemia e la Grande Crisi Finanziaria: ora abbiamo motori di crescita a medio termine. NGEU durerà diversi anni. Inoltre, questa volta il sistema bancario ha sostenuto la crescita, le banche sono più forti.

L’Italia cresce ma intanto lo spread BTP/Bund ha ripreso ad allargarsi. E questo nonostante la flessibilità trasferita nel reinvestimento dei titoli del Pepp per intervenire contro la frammentazione.

Lo scorso dicembre il Consiglio direttivo ha deciso di terminare il Pepp a marzo e di usare il reinvestimento in una maniera flessibile, se necessario. Ma per essere totalmente chiari, abbiamo anche ritenuto che fosse una buona idea ricordare in termini generali che il nostro mandato è la stabilità dei prezzi, e che in alcune circostanze per centrare il nostro mandato dobbiamo usare strumenti e programmi che possano essere flessibili per contrastare la frammentazione. Quindi in dicembre abbiamo anche detto che se c’è una minaccia alla stabilità dei prezzi, e se questa minaccia è la frammentazione, in condizioni di tensione implementeremo la politica monetaria in modo flessibile. Questo è semplice e chiaro. Abbiamo riaffermato cosa abbiamo bisogno di fare: la Bce non può sempre condurre la politica monetaria in maniera meccanica nell’area dell’euro dove 19 Paesi adottano una politica monetaria comune. È importante ribadire la nostra flessibilità, quando appropriato. E poi abbiamo specificato che mentre entriamo nella prossima fase della ripresa, abbiamo un meccanismo, i reinvestimenti del Pepp, per gestire il rischio di frammentazione.

 

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Fonte: Il Sole 24 Ore del 11/01/2022