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Aspettative in tensione il vero nodo per la FEd

di Riccardo Sorrentino

Tanto potere d’acquisto. Un’offerta ancora zoppicante. Era noto che la ripresa, dopo la pandemia, sarebbe stata diseguale, anche all’interno delle economie; ed era previsto che nel mese di aprile, in cui sono arrivati una buona parte degli assegni del maxi piano di Biden, la campagna vaccinale ha rassicurato molti cittadini, ed erano presenti alcuni fattori tecnici – gli indici erano calati molto in basso, gli incrementi annui ne sono amplificati – i prezzi avrebbero accelerato.

Non così tanto, però. Gli analisti si aspettavano un +3,5%, mentre l’indice è salito del 4,2%. Soprattutto, è aumentato molto l’indice core (+3%), che riassume i prezzi gestibili con la politica monetaria. L’indice è salito molto rapidamente anche su base mensile, dove non sono in gioco effetti tecnici, e anche se alcuni settori hanno registrato forti incrementi (auto usate, alberghi, tariffe aeree), i rincari sono generalizzati.

È uno scenario che impone alla Fed di intervenire? Si spera di no: un irrigidimento della politica monetaria risulterebbe prematuro sia da un punto di vista tecnico – gli acquisti di titoli proseguono a un ritmo di 120 miliardi al mese – sia dal punto di vista della crescita. Se però il doppio obiettivo della Fed, stabilità dei prezzi e massima occupazione, concede alla politica monetaria Usa un po’ di flessibilità, l’obiettivo sui prezzi – più elusivo, più sfuggente – resta prioritario.

È prevedibile che la Fed – il vicepresidente Richard Clarida lo ha già fatto, con qualche imbarazzo, ieri – continuerà allora a sottolineare che questi rincari sono transitori, e segnalano uno squilibrio tra la domanda e l’offerta (di beni, di servizi, di lavoro, e anche proveniente dall’estero) destinato a risolversi. Sarebbe decisamente sbagliato intervenire ora: se è vero che la domanda è sospinta – temporaneamente – da una politica fiscale generosa, il contributo delle strozzature dell’offerta consiglia di non agire. La recessione che ne seguirebbe sarebbe disastrosa.

Fino a quando la Fed potrà però restare ferma? Fino a quando le aspettative di inflazione non saliranno stabilmente – e questa è la parola chiave – a livelli incompatibili con l’obiettivo del 2% medio “nel tempo” (dopo anni di bassa inflazione, un’inflazione del 2,5% è quindi tollerabile abbastanza a lungo). Oggi queste aspettative sono sotto pressione: le misure di mercato – che ieri si sono mosse poco: buon segno – puntano al 2,7% a 5 anni, al 2,5% a 10 anni, e al 2,4% nel più lungo periodo. Le aspettative delle imprese, l’indice della Fed di Atlanta, sono balzate al 2,8% dal 2,5% del mese scorso (erano all’1,6% a settembre). È presto per suonare l’allarme, ma prima questi indicatori si fermeranno, meglio sarà.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Fonte: Il Sole 24 Ore del 13/05/2021