Quota tre per cento. L’indice dei prezzi di Eurolandia è salito ad agosto a una velocità mai registrata da novembre 2011, contro un +2,2% di luglio; e anche l’indice armonizzato italiano, che sembrava procedere più lentamente, ha accelerato fino al 2,6% dall’un per cento del mese precedente. L’indice nazionale italiano – che, a differenza di quello ”europeo” non segue i prezzi dei saldi – è intanto salito del 2,1%, dall’1,9% del mese precedente.
Non è del tutto corretto parlare di inflazione: non è un aumento generalizzato dei prezzi, non c’è una pressione sul lato della domanda tale da richiedere un intervento restrittivo della politica monetaria da parte della Banca centrale europea. È vero che anche l’inflazione core di Eurolandia è salita bruscamente dallo 0,7% di luglio all’1,6%, ma è un rialzo tutto legato all’andamento dei prezzi dei beni industriali non energetici, che hanno accelerato dallo 0,7% al 2,7%, segno di un’offerta compressa dalle difficoltà delle forniture, un effetto collaterale non ancora superato – ma in buona parte temporaneo della pandemia. I prezzi dei servizi, sia pure in ripresa, sono saliti del “solo” 1,1 per cento.
In Italia, addirittura, l’indice “di fondo” nazionale – non è ancora disponibile quello armonizzato, direttamente comparabile con quello dell’Unione – è salito dello 0,6%, una velocità rimasta stabile rispetto a luglio. L’aumento dei prezzi è quasi tutto legato all’energia (+19,8%): sono aumentati, di conseguenza, i prezzi dei trasporti (+2,8%), mentre l’accelerazione dell’indice armonizzato è tutta legata ai saldi, che nel 2020 sono iniziati in agosto e hanno alterato la variazione annuale.: abbigliamento e calzature risultano così in aumento del 3,8% mentre erano in calo del 12,1% a luglio.
A conferma di un trend globale i prezzi alla produzione italiani di luglio – pubblicati ieri – erano in crescita del 10,4% annuo (+12,3% sul mercato interno, +5,6% su quello estero). Al netto dell’energia, i prezzi alla produzione risultavano in aumento del 6,1% sul mercato interno, del 6,5% sul mercato dell’area euro e del 3,9% sul mercato dell’area non euro.
Gli analisti sono convinti che l’aumento dell’indice dei prezzi di Eurolandia – rilevante per la politica monetaria – sia temporaneo, legato com’è a numerosi fattori, alcuni strettamente tecnici, altri transitori. È però possibile che questa fase, che si concluderà con un ritorno dell’incremento annuale sotto il due per cento, duri più a lungo. «Ci sono preoccupazioni che l’aumento dell’inflazione – spiega Rory Fennessy di Oxford economics – possa persistere più a lungo di quanto finora previsto. Le interruzioni della catena delle forniture continuano mentre la domanda globale tira molto oltre i vincoli alla capacità produttiva. Le aziende europee segnalano tempi di consegna più lunghi e costi più alti degli input, che possono essere scaricati sui consumatori». Oxford continua a prevedere un’inflazione media dell’1,5% nel 2022, ma il rischio è che l’aumento dell’indice possa toccare livelli più elevati di quanto ora previsto: il consensus degli analisti si attendeva, per agosto, un incremento dell’indicce del 2,7%. «Pensiamo che ci sia un rischio al rialzo per la nostra previsione di un picco di inflazione al 3,4% a novembre», aggiunge Iaroslav Shelepko di Barclays,
Per la Banca centrale europea questi livelli di incremento dell’indice non sono un problema, almeno fino a quando le aspettative di inflazione di lungo periodo resteranno ancorate a livelli bassi: attualmente gli inflation rate swap 5y5y, che puntano al periodo 2026-2031, sono ai massimi da tre anni ma indicano l’1,7%, un livello che lascia la Bce ancora tranquilla. A settembre, la Banca centrale avrà piuttosto il problema di valutare il futuro del piano pandemico di acquisti, che dovrebbe esaurirsi – non certo bruscamente e senza preparazione – a marzo del 2022. La dinamica dei prezzi, invece, non sarà un fattore di disturbo e occorrerà soltanto spiegar bene, ancora una volta, perché va ignorata.
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Fonte: Il Sole 24 Ore del 01/09/2021