Mercati e guerra. Nell’immediato i movimenti degli indici sono legati alle evoluzioni del conflitto Banche centrali, la sfida decisiva è sull’exit strategy
Da un lato l’analisi ai raggi X delle notizie in arrivo dalla guerra in Ucraina. Dall’altro la continua valutazione dei reali effetti delle sanzioni contro Mosca. Il tutto con l’orecchio teso, soprattutto, a mercoledì prossimo. Il due marzo infatti, oltre alla riunione dell’Opec+ (cui la Russia ha diritto di partecipare), parleranno sia il presidente della Federal reserve Jerome Powell che il suo compagno di Fomc (l’organo che delibera sulla politica monetaria), il “falco” Jim Bullard. Sono questi tra i focus d’investitori ed operatori rispetto alla settimana di Borsa appena avviata.
«Nell’intraday – sottolinea Lorenzo Batacchi, portfolio manager di Bper Banca – i listini potranno essere erratici, influenzati dal “news flow” che riguarda la tragedia in Ucraina». Eventuali aperture diplomatiche, «in particolare guardando a Pechino quale potenziale interlocutore, «potrebbero calmare i listini». Un aggravarsi della situazione «avrebbe conseguenza contraria».
Al di là però del singolo effetto notizia, gli esperti monitorano con attenzione il fronte delle sanzioni. Le quali, seppure annunciate (anche riguardo al bando dallo Swift), restano un’incognita rispetto alle loro reali conseguenze. L’obiettivo, da un lato, è di fare poco male ad Europa e Usa (le prime stime indicano una riduzione tra lo 0,5 e 1% del Pil dell’Eurozona rispetto agli scenari pre-conflitto). E, dall’altro, di colpire l’economia russa (ieri c’è stata la corsa ad acquistare dollari in scia al timore del crollo del rublo), riducendo il premier Vladimir Putin a più miti consigli. Sennonché è stato calcolato che Mosca può resistere, attingendo alle riserve finanziarie accumulate, fino a 1,3 anni senza export. Certo: «Va ricordato -spiega Antonio Cesarano, chief strategist di Intermonte Partners – che l’Occidente sta bloccando le stesse riserve della banca centrale russa. E, tuttavia, anche in quel caso la quota in oro detenuta in loco da Mosca (circa 145 miliardi di dollari) consente comunque un’automia temporale di almeno quattro mesi». In altre parole: anni di autarchia, soprattutto a partire dall’invasione della Crimea (2014), hanno reso più resilente l’Orso russo. Il quale, peraltro, potrebbe come ritorsione chiudere i rubinetti delle sue commodity (l’Europa importa il 40% del gas da Mosca), innescando un’ulteriore spirale inflattiva. in particolare nel Vecchio continente.
Il nodo inflazione
Già, l’inflazione. Rispetto ad essa non tutti la pensano allo stesso modo. Nello scenario di base di a lcuni gestori non è prevista un’escalation sui prezzi delle materie prime. «A ben vedere – precisa invece Michele De Michelis, responsabile investimenti di Frame AM -il conflitto in Ucraina rischia di creare proprio uno shock inflazionistico dal lato dell’offerta». Insomma: le posizioni non sono allineate. Ciò detto, però, il comune denominatore della discussione è chiaro: la dinamica delle politiche monetarie. In questo momento, più negli Stati Uniti che in Europa, le banche centrali stanno rientrando dalle strategie ultra espansive varate per contrastare la recessione causata dal Covid. Ebbene: una frenata della congiuntura (essenzialmente quella europea) in scia alle sanzioni, ma senza una grande fiammata dei prezzi, potrebbe indurre la Bce a rallentare la sua “exit strategy” (i mercati ci hanno, ad esempio, creduto venerdì scorso). Diversamente la stretta dovrebbe proseguire come da copione.
Le mosse delle banche centrali
In un simile contesto diventano importanti gli appuntamenti con i banchieri centrali e, quindi, i discorsi di Powell e Bullard in quel di mercoledì. «Rispetto alla Fed -dice Michele Morra, gestore multi asset per Moneyfarm -il mercato attualmente prezza sei rialzi dei tassi nel 2022». «Una tabella di marcia – fa da eco De Michelis – la quale dovrebbe essere rispettata». Ciò detto il sentiero dei governatori centrali è stretto. Un errore, ad esempio, sulla tempistica del ritocco all’insù dei tassi di riferimento potrebbe frenare la già non così sicura ripresa economica. «Il rischio -ammette Morra -esiste. E, però, gli istituti centrali ormai hanno una notevole flessibilità e guardano molto alla dinamica dei dati» macroeconomici. Quindi il problema, rispetto al passato, dovrebbe essere più limitato. Fin qui alcune suggestioni su inflazione e sanzioni economiche. Quale però lo stato di salute delle Borse? «In generale – risponde Batacchi – una buona parte dell’attuale scenario della guerra è già prezzato nelle quotazioni». Inoltre, «i punti dove cambia l’impostazione rialzista di lungo periodo, sia per l’Euro Stoxx 50 (supporto in area 3.366 punti) che l’S&P 500 (supporto a 3.533) , sono ancora lontani», precisa l’analista tecnico indipendente Silvio Bona. Al di là di ciò, tuttavia, «deve sottolinearsi – riprende Batacchi – un cambiamento». Vale a dire?« Fino a prima del conflitto poteva ipotizzarsi che i mercati europei, in scia al rialzo dei tassi e alla rotazione verso i titoli “value”, facessero meglio di Wall Street». Adesso, invece, si è creato un nuovo paradigma. Essendo la Borsa americana già arretrata parecchio e avendo l’economia statunitense di fatto l’indipendenza sul fronte energetico, «non può escludersi che l’azionario “made in Usa” torni di moda». Sempre che, ovviamente, la terribile variabile geo-politica della guerra non sconvolga ancora di più un contesto già precario. I recenti voli di aerei militari cinesi sopra il cielo di Taiwan, dove sono presenti importanti produttori mondiali di microchip, rafforzano il pessimismo della ragione. Per contrastarlo ci vuole l’ottimismo di tanta volontà. Ci si domanda se i potenti della terra ne possiedano a sufficienza.
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Fonte: Il Sole 24 Ore del 28/02/2022