di Fabio Tamburini
C’è un passaggio della relazione che rappresenta la sintesi perfetta della situazione. È quello in cui nelle considerazioni finali il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, definisce come «formidabile sfida» la partita in corso per l’Italia ma anche per l’intera Europa, di cui rappresentiamo uno dei Paesi fondatori e un ingrediente indispensabile. La sfida è imboccare con determinazione la strada di «una ripresa robusta della domanda», di «uno sforzo collettivo volto a superare le nostre debolezze strutturali» per guarire «un’anemia della crescita economica che dura da oltre due decenni». L’aggettivo formidabile è giustificato dal fatto che serve «dare massima concretezza al programma di riforme» per ridare slancio all’economia e creare le condizioni per ridurre «gradualmente ma con continuità il fardello del debito pubblico».
Il timoniere è il presidente del consiglio, Mario Draghi. Alla scadenza dei primi 100 giorni, trascorsi da poco, ha centrato le due priorità d’inizio mandato: il piano vaccini e la presentazione in Europa di un Recovery plan credibile. Su entrambi i fronti il ritardo era clamoroso e abbiamo rischiato di non farcela. Le conseguenze sarebbero state devastanti. Va dato atto che la scelta di affidarsi al generale dell’Esercito Francesco Paolo Figliolo, che ha saputo accantonare improvvisazione e folclore, è stata quanto mai opportuna e le vaccinazioni hanno marciato nel modo migliore. Non era scontato. Ugualmente, nonostante il poco tempo disponibile, ha funzionato il recupero di credibilità in Europa.
Certo l’intera architettura del piano ha punti deboli non banali, dai contenuti delle riforme alla governance. Ma le telefonate di Draghi a Bruxelles hanno permesso di superare incertezze e diffidenze. Così abbiamo portato a casa la prima parte dei finanziamenti europei.
Ora però arriva il difficile, cioè quella «formidabile sfida» citata da Visco. Sempre il governatore ha utilizzato un’altra immagine programmatica: «Dopo la pandemia – ha detto in chiusura dell’intervento – deve aprirsi un’epoca nuova». Qual è la condizione definita «essenziale»? «Spendere bene le risorse straordinarie che il programma europeo ci offre e tutte le altre che saranno disponibili per ridare all’economia una prospettiva stabile di sviluppo».
Il compito di passare dalle parole ai fatti cade sulle spalle di Draghi ed è necessario assicurargli due condizioni fondamentali: il tempo a disposizione e il potere necessario per spazzare via le resistenze che da tempo immemore intralciano la strada delle riforme.
Il fattore tempo è cruciale perché nessuno, neppure Draghi, ha la bacchetta magica. La posta in gioco è troppo alta per lasciare lavori in corso e opere incompiute. Spendere bene i fondi che possono davvero cambiare la faccia del Paese, farlo rapidamente, assicurare la governance che permetta di rendicontare adeguatamente in Europa lo stato di avanzamento lavori per ottenere gli altri finanziamenti messi a disposizione. Per questo è indispensabile archiviare poteri di veto, consociativismi, burocrazie a livello centrale e locale.
Il terreno è ricco d’insidie. In particolare perché il governo attuale è una sorta di miracolo e si regge su uno schieramento ampio di forze politiche che hanno ispirazioni opposte, dalla Lega di Matteo Salvini al Pd di Enrico Letta. È inevitabile che ognuno senta la necessità di rimarcare la propria identità. Salvini deve contrastare l’ascesa nei sondaggi di Fratelli d’Italia, che gioca la facile partita della opposizione. Letta deve difendersi dall’accusa di abbandonare le battaglie, anche ideali, del centro sinistra. Per Draghi, e direi per l’Italia, l’occasione per mantenere saldo il timone delle riforme e della concretezza è unica perché i partiti di entrambi gli schieramenti sanno bene che il debito pubblico italiano, aggravato dalla pandemia, ha raggiunto livelli insostenibili, come scritto a pagina 16 delle considerazioni del governatore. «Alla fine di quest’anno -ha ricordato Visco – il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo sarà prossimo al 160 per cento, raggiunto in Italia solo all’uscita del primo conflitto mondiale, di quasi 60 punti superiore a quello medio dell’area dell’euro». In queste condizioni i margini di manovra per chi nei partiti che attualmente appoggiano il governo voglia davvero intralciare riforme e scelte d’investimento coerenti con lo sviluppo economico sono pressoché inesistenti perché porterebbero il Paese al disastro economico.
Detto in termini calcistici per chi volesse far saltare Draghi il rischio di un autogol clamoroso è una certezza. Forse è davvero arrivata la volta buona per voltare pagina sbloccando funzionamento della giustizia, riforma fiscale, investimenti in ricerca e sviluppo, efficienza della burocrazia e via dicendo. Incrociamo le dita.
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Fonte: Il Sole 24 Ore del 01/06/2021