di Marcello Minenna
Le esportazioni del dragone cinese hanno spiccato il volo. Per l’undicesimo mese di fila il volume di scambi da/per la Cina è salito, con una crescita del 32,4% delle esportazioni e dell’42,5% delle importazioni.
La crescita ha continuato ad essere spinta dalle esportazioni di materiale sanitario e di apparecchiature elettromedicali – soprattutto verso l’India – su cui la Cina ha consolidato una schiacciante superiorità produttiva. Inoltre è diventata rilevante la domanda di elettronica/informatica dovuta al potenziamento delle infrastrutture per il lavoro da remoto.
Prezzi del petrolio e bassi hanno stimolato la ripresa delle esportazioni verso tutte le principali aree geografiche, anche se nel primo trimestre 2021 si inizia a percepire il freno dell’inflazione crescente sui mercati dell’energia e dell’apprezzamento dello yuan sul dollaro (+9,6% in 12 mesi).
A inizio 2021 per ogni dollaro in ingresso in Cina grazie all’export, solo 70 cents venivano impiegati per le importazioni. Se si guarda esclusivamente al settore manifatturiero, la Cina spendeva per l’import solo 55 cents su un dollaro incassato. A fronte di un volume delle esportazioni supera i 2mila miliardi di $, questo alimenta la ripresa del PIL, che registra un impressionante +18,3% nel primo trimestre 2021; nei Paesi Osce si è fermata all’1%. Il governo ha sostenuto la ripresa economica export-driven come obiettivo strategico destinando 116 miliardi di $ a detrazioni ed esenzioni fiscali sulle esportazioni. Il grande assente nella risposta governativa allo shock pandemico è stato un programma di stimolo dei consumi privati, a differenza dell’Occidente. Lo stimolo fiscale previsto si è rivelato di 6 volte inferiore a quello degli Usa. Poca cosa rispetto a quanto venne stanziato dopo la crisi finanziaria del 2008-09, quando la Cina – con un’economia tre volte più piccola rispetto all’attuale – varò un programma di espansione fiscale pari a quello Usa.
Dalla struttura del saldo delle partite correnti (che registra la tipologia di transazioni sottostanti ai movimenti di capitali) si osservava soltanto 2 anni fa una progressiva integrazione finanziaria e perdita di competitività rispetto alle economie emergenti asiatiche, che stava erodendo lo storico surplus commerciale (barre rosse). A ciò si sommava ed un crescente deflusso di capitali dovuto al turismo internazionale dei cittadini cinesi ed al trasferimento fisico (perlopiù legale) di valuta all’estero per la quota massima concessa dal governo (circa 50mila $ l’anno per cittadino, barre gialle).
La crisi pandemica ha stravolto il quadro e rilanciato la Cina come “fabbrica del mondo” ed esportatore di capitali esteri. Dal 2020 si nota la crescita senza precedenti del saldo delle partite correnti fino a +124 miliardi dovuta non solo alla ripresa del saldo commerciale ma anche al crollo del turismo internazionale (da 60 miliardi di gennaio 2020 ai 17 di marzo 2021). In definitiva il governo cinese con la sua strategia export-driven continua a cavalcare l’espansione fiscale delle economie occidentali, finanziate a debito e incentrate sul sostegno ai consumi. I nuovi stimoli fiscali di Usa e Ue stanno fornendo benzina alla ripresa di Pechino, consentendo forti recuperi di competitività e di posizione dominante che erano stati erosi dalla guerra commerciale pluriennale con Trump.
Direttore Generale dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli
@MarcelloMinenna
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Le esportazioni del dragone cinese hanno spiccato il volo. Per l’undicesimo mese di fila il volume di scambi da/per la Cina è salito, con una crescita del 32,4% delle esportazioni e dell’42,5% delle importazioni.
La crescita ha continuato ad essere spinta dalle esportazioni di materiale sanitario e di apparecchiature elettromedicali – soprattutto verso l’India – su cui la Cina ha consolidato una schiacciante superiorità produttiva. Inoltre è diventata rilevante la domanda di elettronica/informatica dovuta al potenziamento delle infrastrutture per il lavoro da remoto.
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Fonte: Il Sole 24 Ore del 30/05/2021