Un processo delicato quello del passaggio generazionale che coinvolge le PMI. Occorre pianificarlo per tempo, evitando errori che potrebbero compromettere la continuità dell’azienda familiare. Alcuni associati ANGAISA ci raccontano la loro esperienza: senior e giovani a confronto, tutti sostenitori di una cultura del merito e della competenza per dare sempre più valore alle realtà distributive nazionali. In questo contesto è fondamentale il ruolo dell’Associazione che dovrà tendere sempre più a creare competenze manageriali.
di Maruska Scotuzzi
Il passaggio generazionale nelle aziende familiari, in particolare nelle PMI, è un processo estremamente delicato e che va pianificato con attenzione. Non può certo avvenire dall’oggi al domani, necessita, infatti, tempistiche pluriennali. “Al di là dell’opportuno trasferimento delle competenze, esso racchiude diverse complessità dal punto di vista fiscale, amministrativo e giuridico. A ciò si aggiunge un aspetto psicologico, che interseca gli interessi della vita familiare e di quella lavorativa. Le difficoltà nell’affrontare questo ricambio fisiologico spesso si traducono in dati poco rassicuranti. Secondo un’indagine di Ascri (Associazione per la prevenzione delle crisi di impresa), solo il 31% delle aziende arriva in salute alla seconda generazione e appena il 15% sopravvive alla terza. Una delle ragioni di ciò è la scarsa lungimiranza nel programmare efficacemente il processo di successione. Dati ISTAT mostrano, infatti, che tale scenario viene considerato consapevolmente solo dopo i 60 anni dell’imprenditore” (fonte: La Repubblica Economia e Finanza, gennaio 2021).
Cosa non fare: gli errori più comuni
Secondo gli esperti l’errore più rilevante è quello di dare precedenza agli equilibri familiari mettendo in secondo piano la competitività dell’impresa. A ciò si aggiunge quello di non dedicare tempo a valutare l’evoluzione della proprietà e della famiglia in un periodo medio-lungo (5-10 anni). Inoltre, non sempre viene monitorato l’andamento del processo di ricambio in corso in modo da intervenire qualora ce ne fosse la necessità. Un altro errore riguarda il mancato coinvolgimento di soggetti terzi — manager non familiari, consiglieri di amministrazione non familiari, consulenti — che possono, in caso di necessità, aiutare a ridurre l’area delle emozioni e ad ampliare quella della razionalità. Rilevante, infine, un’abitudine molto frequente tra i senior: restare nell’azienda nonostante siano usciti di scena. Una sorta di figura supervisore che può intralciare il lavoro svolto dai figli e dagli eredi in generale. Se proprio non si riesce a uscire di scena, il suggerimento, a detta degli esperti, è quello di limitarsi al ruolo di consulente. E i giovani? Il primo errore è quello di accettare il ruolo di timoniere dell’azienda senza alcuna o comunque poca esperienza. Dovrebbero, invece, svolgere mansioni di secondo piano per alcuni anni. Meglio ancora, fare esperienza fuori e poi rientrare per guidare l’attività di famiglia. Il secondo errore che commettono è quello di arrivare in azienda e voler cambiare tutto. Innovare subito per distinguersi e rompere con il passato comporta conseguenze negative. Quello che dovrebbero fare, invece, è adeguarsi all’andamento attuale dell’azienda e poi, gradualmente, introdurre cambiamenti solo quando si ha pienamente in mano l’azienda.
Competenza e cultura del merito
La strategia vincente per gestire il passaggio generazionale è una sinergia generazionale dove l’esperienza di chi accoglie e le competenze di chi subentra riescano a bilanciarsi, arricchendosi in uno scambio reciproco. Coadiuvarsi e lavorare in sinergia per aiutare gli attori in campo a far crescere l’azienda. E nei processi di ricambio generazionale deve essere valorizzata la competenza più della appartenenza alla famiglia di controllo: occorre promuovere la cultura del merito a prescindere dall’affiliazione familiare. Senza una cultura della competenza si rischia che persone senza la dovuta formazione o non performanti ricoprano posizioni di responsabilità, innescando un circolo vizioso con pericolose ricadute per l’azienda nel suo complesso. Principi questi che trovano d’accordo gli associati ANGAISA intervistati, che ci hanno raccontato le loro esperienze di convivenza e di passaggio generazionale.
“Secondo i dati dell’Osservatorio SAUB promosso da AIDAF (Associazione Italiana delle Aziende Familiari), Università Bocconi, UniCredit e Cordusio in Italia la percentuale di aziende a conduzione familiare con un fatturato superiore ai 20 milioni di euro nel 2020 ha raggiunto il 65% e circa un terzo di queste presenta leader ultra-settantenni. Ciò significa che nei prossimi anni si dovrà necessariamente assistere a un progressivo passaggio di testimone. Una prospettiva che potrebbe realizzarsi in tempi ancor più rapidi dopo che la pandemia ha acceso nuove consapevolezze.” (fonte: La Repubblica Economia e Finanza, gennaio 2021)
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Fonte: Blu&Rosso n.285