Nei giorni scorsi Yellen ha fatto tremare i listini internazionali accennando a un possibile rialzo dei tassi d’interesse per contrastare l’eventuale surriscaldamento dell’economia statunitense. Un segnale del difficile equilibrio che regna sui mercati.
di Elena Dal Maso
È bastata una parola di Janet Yellen su un possibile rialzo dei tassi negli Usa per creare terremoti sui listini. Tanto che il segretario al Tesoro americano, nel giro di poche ore, ha dovuto fare un passo indietro. Ma ha avvertito che prima o poi il costo del denaro dovrà tornare a salire, con l’economia in recupero dallo shock del Covid. Le borse hanno cominciato a respirare e il T-bond americano ha visto il rendimento allontanarsi dall’1,6%, un valore considerato pericoloso. Anticamera di un 2% che il mercato teme come livello oltre il quale potrebbero innescarsi pericolose vendite sulle azioni. Perché, se le obbligazioni iniziano ad avere un rendimento interessante, che fa concorrenza alle azioni, il rischio è che i gestori debbano rimetter mano ai portafogli. Inoltre, se il rendimento di un bond sale, il prezzo scende mettendo sotto stress i mercati del debito. A questo si aggiunga che un costo del debito più alto può creare difficoltà per società fortemente indebitate. Non solo negli Usa, ma anche nel Far east, dove molti gruppi scelgono il biglietto verde per collocare debito.
I mercati hanno osservato con attenzione anche la mossa della Bank of England, che un paio di giorni dopo il discorso di Yellen ha anticipato un tapering, ossia un minore acquisto di debito sul mercato, «indicando in maniera implicita due aumenti dei tassi entro la fine del 2024», hanno scritto gli analisti di BofA. Spiegando poi che «i dettagli delle previsioni della BoE sono risultati in realtà un po’ meno aggressivi di quanto i mercati si aspettassero» e consigliando di osservare da vicino un evento che potrebbe avere ripercussioni significative, le elezioni del parlamento scozzese nel weekend dell’8 e 9 maggio, «importanti per le prospettive economiche» del Regno Unito.
E per fortuna che venerdì 7 maggio il dato tanto atteso sul mercato, quello legato alla disoccupazione americana, è risultato nettamente sotto le attese. Infatti l’economia Usa ha creato 266.000 nuovi posti di lavoro ad aprile, dopo un aumento di 770.000 rivisto a marzo e ben al di sotto delle aspettative di mercato di 978.000. Il tasso di disoccupazione si è assestato al 6,1%, rispetto alle previsioni del 5,8%. Il T bond è sceso, nel giro di pochi minuti, dall’1,58% all’1,55%. Il mercato del lavoro è risultato così tanto al di sotto delle attese che i mercati hanno cominciato a respirare, soprattutto Wall Street.
Sul fronte dei dati societari, però, come ha sottolineato Morgan Stanley, i risultati del primo trimestre delle società europee, per esempio, «hanno registrato un record di utili oltre le attese», spiegando che «spesso i primi conti nella stagione delle trimestrali sono i più alti e le sorprese si attenuano con il progredire dei risultati. Tuttavia questa volta la forza iniziale è stata mantenuta». Gli analisti americani hanno osservato che il primo trimestre del 2021 è stato caratterizzato dal miglior rialzo dell’utile per azione dal 2007 ad oggi, pari a quasi il 45% di società che ha battuto le stime. E questo sta provocando un aumento a catena delle revisioni sui titoli, ad una velocità in Europa che ha recentemente raggiunto il massimo storico toccato nel lontano 1987.
«Le trimestrali americane ed europee sono risultate, questa volta, mediamente sopra del 25% in relazione all’utile per azione», spiega Lorenzo Batacchi, portfolio manager di Bper Banca e membro Assiom Forex. «Dopo una crescita media dei listini di oltre il 10% da inizio anno, i mercati necessitano di nuova linfa e sono alla ricerca di temi trainanti». Questa potrebbe arrivare, aggiunge l’esperto, dal «piano infrastrutturale americano, che non è ancora stato definito, e dal Recovery europeo. I progetti nazionali sono appena stati presentati, avremo quindi bisogno di qualche mese per capire nel concreto dove andranno a investire. Il mercato ha premiato l’arrivo di Mario Draghi con una performance positiva del 10%, ma ora si aspetta i primi risultati».
Poco prima della pubblicazione dei dati americani sul lavoro, le parole di Martins Kazaks, a capo della banca centrale della Lettonia, uno dei 25 membri del consiglio direttivo della Bce, aveva creato qualche scompiglio sul mercato del debito pubblico. Infatti, nel corso di un’intervista a Bloomberg, Kazaks ha detto che la Banca centrale europea potrebbe decidere di ridimensionare il suo programma di acquisto di obbligazioni di emergenza (Pepp) già il prossimo mese se l’economia dell’area dell’euro non si deteriora. E non a caso venerdì 7 maggio il Btp decennale ha visto il rendimento salire dallo 0,911% allo 0,967%.
È anche vero, però, che la Bce, secondo i calcoli effettuati dagli analisti di Unicredit, nei suoi acquisti di obbligazioni comunitarie ad aprile, proprio nell’ambito del piano pandemico Pepp, ha impresso un’accelerazione a 80 miliardi di euro, in aumento del 9% rispetto a marzo e quasi il 30% in più rispetto all’importo medio mensile acquistato nel primo trimestre dell’anno. Alla conferenza stampa di Francoforte di tre settimane fa, il governatore, Christine Lagarde, aveva avvertito di non lasciarsi fuorviare dai dati volatili sugli acquisti settimanali, ma di concentrarsi sui numeri mensili. Secondo Unicredit, questo aumento del 30% può essere interpretato come il «riflesso di un ritmo significativamente più alto di acquisti, come indicato dalla Bce dopo la riunione dell’11 marzo». Nonostante quindi il forte rialzo nel rendimento del Btp decennale, passato dallo 0,45% circa quando è arrivato Draghi all’attuale 0,97%, la protezione della Bce sull’Italia resta. Ora bisogna vedere a quale ritmo salirà il rendimento del T bond. Quello che più temono i mercati è una fiammata al 2%. Se invece si arrivasse a quel punto nel giro di qualche mese grazie ad un solido recupero dell’economia, le borse ringrazierebbero.
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Fonte: Milano Finanza del 08/05/2021