Dalla guerra in Ucraina alla ripresa dell’inflazione, dal rallentamento delle prospettive di crescita all’atteso rialzo dei tassi di interesse da parte delle Banche Centrali: come questi fattori di incertezza incidono sull’allocazione dei Family Office? Ne abbiamo parlato con Emanuela Musci, Founder S&O Multi Family Office
di Michaela Camilleri
Il conflitto russo-ucraino, l’aumento dell’inflazione e le tensioni sul mercato dell’energia, il rallentamento delle prospettive di crescita e le future mosse delle banche centrali rappresentano le principali variabili di incertezza con cui sono attualmente chiamati a confrontarsi i Family Office, così come gli altri investitori istituzionali. Si tratta di rischi inattesi che hanno indotto i Family Office a riflettere nuovamente su concetti fondamentali come la necessità di preservare il capitale nel lungo periodo nell’ottica di un futuro passaggio generazionale. Come continuare allora a creare valore in questo particolare momento storico attraverso gli investimenti sia in asset class più tradizionali che innovative? Ne abbiamo parlato con Emanuela Musci, Founder S&O Multi Family Office.
La pandemia da COVID-19, prima, e il conflitto tra Russia e Ucraina, dopo, hanno creato l’occasione per riflettere su quanto gli investimenti dei Family Office rispecchino i valori della famiglia. Secondo la sua esperienza, quanto Family Office e Family Business sono realtà interconnesse? A seguito di questi due terribili eventi, si riscontra uno sguardo più profondo verso la sostenibilità ambientale, sociale e di governo nelle scelte imprenditoriali e di investimento?
La pandemia e il conflitto Russia-Ucraina hanno fatto sì che, per ben due volte consecutive e a stretto giro, ci confrontassimo con rischi inattesi, probabilmente mai presi in considerazione prima. Ciò ha indotto i Family Office a soffermarsi e riflettere su quesiti fondamentali che in tempi “normali” erano passati in second’ordine. Sicuramente è emersa in modo lampante la relazione tra Family Office e Family Business: si tratta di realtà interconnesse, due facce di una stessa medaglia. Dove il Family Office è custode e gestore di asset intangibili, valoriali, quali reputation, legacy, tensione all’innovazione, prima ancora che di asset reali e finanziari; rileviamo che il Family Office è anche fattore che porta resilienza alla famiglia e al Family Business.
Nella nostra esperienza, il Family Office che origina da liquidity event funge da coordinatore delle varie attività, e, nel momento in cui il collante del Family Business non è più presente, diviene il veicolo atto a imprimere una progettualità di lungo periodo e coesione sugli investimenti, in conformità ai valori della famiglia. Dove invece il Family Business è ancora presente, il Family Office supporta fattivamente lo sviluppo del business sia con la finanza, dove necessario, ma soprattutto, attraverso una governance disciplinata, che ha l’obiettivo di mantenere famiglia e azienda unite.
A riprova del legame tra Family Office e Family Business c’è un interessante studio pubblicato dall’Università Bocconi dello scorso anno che, analizzando l’impatto di COVID-19 su 273 società quotate, ha dimostrato come i Family Business abbiano reagito in modo più veloce ed efficace. Sono tanti i fattori che contribuiscono a questi risultati, ma si possono sintetizzare, credo, con il fatto che da parte dei Family Business vi è una reale attenzione a tutti gli stakeholder e alla comunità di riferimento.
Interesse agli stakeholder che si ritrova anche affrontando i temi della sostenibilità ambientale, sociale e di government. Temi nei confronti dei quali c’è già una profonda attenzione e un coinvolgimento concreto da parte delle famiglie imprenditoriali, sia nelle scelte di investimento finanziario che industriale. Non si può prescindere da questo tipo di orientamento: l’impact investing sta diventando un must a 360°.
Come i Family Office hanno reagito a questi due “cigni neri” e come hanno modificato (se l’hanno fatto) la propria asset allocation in risposta a questa difficile condizione di instabilità permanente, attuale e prospettica?
L’asset allocation di un Family Office è volta alla preservazione del capitale per la prossima generazione, non al risultato di breve periodo. Per i Family Office, da sempre, il tema è come si crea valore, non solo quanto valore si crea. Ciò detto, l’allocation strategica viene normalmente impostata ab origine per il lungo periodo, non ha sofferto lo choc esogeno da COVID-19, né è stata modificata sull’onda emotiva nel corso del 2020, tant’è che il 2021 è stato un anno ottimo. Tuttavia, le prospettive di rialzo dei tassi e dell’inflazione, che già si ventilavano nel 2021, hanno indotto molti Family Office ad aumentare il peso degli asset reali in portafoglio, nello specifico private equity, riducendo il peso del reddito fisso. Private equity e venture capital hanno archiviato il 2021 con numeri record, sostenuti dalla sete di rendimento dovuta al contesto di tassi pressoché a zero e dalla necessità di allargare il perimetro della diversificazione di portafoglio. Quanta parte del patrimonio allocare al private market? Una risposta univoca non esiste: tra il 5% e il 15%, anche se in ambito Family Office in molti casi si supera abbondantemente il 15%.
La guerra in Ucraina, la volatilità sui mercati, l’inflazione in salita, il rallentamento delle prospettive di crescita e le future mosse delle Banche Centrali rappresentano i principali temi di incertezza che preoccupano gli investitori. Si tratta di una serie di condizioni mai viste prima sui mercati che rendono il quadro attuale estremamente complesso. Non per questo non si possono trovare opportunità. Noi prediligiamo un approccio prudente, mantenendo al momento liquidità più elevata rispetto alla consuetudine (in generale i gestori nel mondo hanno raggiunto al 30 aprile 2022 la percentuale di liquidità più elevata degli ultimi 20 anni) in modo da poter reagire rapidamente a eventuali opportunità che si presentassero. Per certi versi credo che ci troviamo “on the hedge of a cliff” che richiede il ritorno a capitali pazienti. Siamo di fronte a cambiamenti strutturali: reshoring, incertezza geopolitica, inflazione, rallentamento economico, il tutto con un livello di debito mai visto prima. Il peggio deve ancora venire? La guerra in Ucraina ha messo a nudo molte fragilità europee e non solo: una fra tutte la previsione concreta del conflitto che ha colto tutti di sorpresa. La capacità di adattamento e di trasformazione dei Family Office, unitamente alla loro capacità di guardare al futuro non solo in modo orizzontale, credo sia una forza in questi periodi di incertezza.
Sul fronte opposto, quanto e in che modo il concetto di innovazione, spesso presente nel Family Business, viene esteso alla gestione del patrimonio della famiglia? Si può, secondo Lei, ritrovare innovazione negli investimenti dei Family Office nei private market e, eventualmente, in quali settore più specifici?
Sicuramente il concetto di innovazione, di ricerca di soluzioni innovative, per osmosi e attitudine si trasferisce dal Family Business al Family Office e viceversa, unitamente al concetto che le posizioni di rendita non esistono più. Sia nel Family Business che nel Family Office lo stare sempre aggiornati è vitale; la creazione di valore è direttamente correlata all’innovazione.
Le famiglie imprenditoriali dei Family Office, oltre al Family Business, individuano il concetto di creazione di valore nel lavoro che viene svolto dagli operatori di private market. E, infatti, i private market sono un asset class cui i Family Office prestano particolare attenzione da tempo, creando dei programmi di investimento dedicati, con diversi vintage, in modo da consentire agli investitori di diversificare questa componente di portafoglio, come avviene per i mercati liquidi, attraverso un percorso di pianificazione coerente con gli obiettivi di investimento, gli orizzonti temporali e i flussi di cassa della famiglia.
I mercati privati rappresentano circa il 3% degli asset investiti a livello globale e la loro crescita è stata esponenziale. Pre COVID-19 i private market gestivano circa 2.200 miliardi di dollari, oggi tra i 4 e 5.000 miliardi, metà dei quali in Nord America, secondo stime dell’Economist. Buona parte del boom si è concentrata post 2008, grazie al favorevole sistema di bassi tassi di interesse. La corsa ai private market è stata alimentata dall’aspettativa che i ritorni a lungo termine saranno superiori alla media del mercato. Aspettativa che, a oggi, per i fondi nel first quartile è stata confermata dai risultati conseguiti. Nello specifico, uno studio condotto dalla Chicago Booth School of Business e diretto dal Prof. Kaplan su dati dal 2005-2014 e sulla base dell’osservazione di 1.400 fondi di private equity e venture capital americani, rileva che la performance dei fondi private equity buyout ha costantemente sovraperformato quella dei mercati pubblici, in media tra il 20% e il 27% nella vita del fondo. Va notato però che le performance variano molto da un fondo all’altro, la differenza nei ritorni netto commissioni è del 7%-8% p.a. nel top quartile, inoltre viene rilevata una certa persistenza nella performance.
Sicuramente, investire attraverso fondi e verticali tematiche è un trend in crescita, anche in ambito private. I settori su cui vi è più attenzione: healthcare & life sciences, agritech, energy transition, infrastructure e tecnologia.
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Fonte: “Il Punto” del 06/06/2022