LA FINESTRA SUL CORTILE
I tassi d’interesse subiranno un’impennata nel 2022? Con l’aumento dell’inflazione e la Bce, la Federal Reserve e altre banche centrali pronte a una stretta monetaria, i tassi a lungo termine potrebbero sembrare destinati a una crescita vertiginosa. Io, tuttavia, non ci scommetterei. Col venir meno delle temporanee pressioni sui prezzi e indipendentemente dagli interventi delle banche centrali, i tassi a lungo termine potrebbero sorprendere tutti, rimanendo pressoché invariati alla fine del 2022.
A dispetto dei media che paventano un’inflazione duratura, i tassi a lungo termine relativamente favorevoli dimostrano che le forze all’origine dell’aumento dei prezzi sono di natura provvisoria. Se non lo fossero, infatti, poiché i tassi a lungo termine riflettono le aspettative di inflazione, sarebbero già cresciuti da tempo. Invece, in Italia i titoli del Tesoro rendono appena l’1,40% e in Germania intorno a zero. Il corposo 1,85% degli Stati Uniti? Ben poca cosa.
Perché i rendimenti non sono cresciuti? I mercati vedono e scontano piuttosto bene ciò che sfugge agli esperti: la differenza tra un’inflazione duratura e una temporanea. A causare l’inflazione non sono le banche centrali che stanno creando eccessiva moneta «a caccia di troppi pochi beni», quanto piuttosto le criticità nelle filiere produttive. Si tratta di un fenomeno temporaneo e già in via di risoluzione.
L’indice dei prezzi al consumo in Italia è salito del 4,2% anno su anno a dicembre e l’Eurozona ha raggiunto il 5%, ma l’inflazione core è stata appena dell’1,5% anno su anno in Italia e del 2,6% nell’Eurozona. In Italia l’inflazione, che si attestava allo 0,5% mese su mese, ha rallentato per tre mesi consecutivi. A gennaio, i sondaggi dei direttori degli acquisti hanno mostrato che i prezzi si stanno in generale normalizzando sia in Europa che in America. Non sarà neanche l’allentamento del Qe della Bce e della Fed a far rimbalzare i tassi d’interesse a lungo termine.
Ricordate: i mercati scontano in anticipo le informazioni ampiamente note, come quelle sul Qe. Affermazioni accomodanti a parte, i banchieri centrali hanno annunciato il tapering per mesi. Pertanto, in Italia i titoli del Tesoro a 10 anni erano più bassi due settimane dopo l’avvio del tapering da parte della Bce a settembre: i mercati l’avevano già scontato da tempo e avevano guardato oltre. Negli Stati Uniti, dopo che la Fed ha avviato il tapering a novembre e lo ha accelerato a dicembre, i titoli governativi a 10 anni si sono mossi appena. Se il tapering non ha reso i tassi più allettanti allora, perché dovrebbe farlo adesso?
L’aumento dei tassi a breve termine che ci si aspetta dalla Fed nel 2022 farà schizzare alle stelle i tassi a lungo termine? No. Basta osservare la lunga serie di dati storici degli Stati Uniti. Dal 1933, a 6, 12 e 18 mesi dall’aumento dei tassi da parte della Fed, il rendimento dei titoli governativi a 10 anni ha avuto una crescita mediana inferiore allo 0,25%, un’inezia; ed è persino diminuito in circa un terzo dei casi. Perché? I tassi a lungo termine sono determinati dal mercato.
E se invece mi sbagliassi? Non sarebbe comunque il caso di avere paura. La massima «non combattere la Fed», secondo cui l’aumento dei tassi affossa le azioni, è un falso mito. La correlazione tra l’indice MIB e il rendimento dei titoli del Tesoro a 10 anni italiani è -0,25. D’accordo, ciò dimostra una lieve tendenza delle azioni a muoversi in senso opposto ai rendimenti a 10 anni (dato che 1,0 indica una correlazione perfetta e -1,0 una correlazione perfettamente inversa), ma è una tendenza debole. In America, la correlazione tra l’indice S&P 500 e i rendimenti dei titoli a 10 anni è solo leggermente positiva (0,33). I bond tedeschi a 10 anni e il Dax? Ancora 0,33. Queste correlazioni fragili e disomogenee rivelano che non c’è alcuna relazione tra i tassi a lungo termine e i titoli azionari che possa influire sulle decisioni di portafoglio. Date retta ai mercati e alla storia, e non fatevi spaventare dai fantasmi.
* Presidente esecutivo – Fisher Investments Worldwide
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Fonte: Il Sole 24 Ore del 21/01/2022