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Quell’inflazione che i banchieri centrali fanno finta di non riconoscere

da The Editorial Board

Più di un economista europeo ha sostenuto per anni che il continente avesse bisogno di più inflazione per curare i molti mali dell’eurozona, e ora l’inflazione è arrivata. I dati rilasciati martedì 31 agosto hanno mostrato che l’Eurozona ha raggiunto il più veloce tasso di aumento dei prezzi da anni, ma dubitiamo che possa risolvere qualche problema.

Il tasso di inflazione top ha raggiunto il 3% su base annua in agosto, dal 2,2% di luglio. L’obiettivo ufficiale della Banca Centrale Europea è del 2%, quindi, anche con una regola politica un po’ più permissiva introdotta quest’estate, qualcuno a Francoforte dovrebbe iniziare a preoccuparsi. Tanto più se si considera che, anche escludendo l’inflazione del 15,4% per i prezzi dell’energia e del 2,9% per le materie prime alimentari, l’inflazione cosiddetta core ha registrato l’1,6%, ovvero il ritmo più veloce di aumento dei prezzi dal 2012. Così come negli Stati Uniti e nel Regno Unito, si è fatta strada l’interpretazione che l’inflazione nell’eurozona sarà transitoria. Per l’Europa, questi presunti fattori temporanei sono la carenza di manodopera agricola, l’impennata della domanda di servizi come il turismo, il taglio temporaneo delle tasse sui consumi in Germania l’anno scorso che ha stabilito un riferimento ingannevole, e così via.

Il problema politico per il presidente della Bce, Christine Lagarde, è che l’inflazione non è distribuita uniformemente nella zona. I prezzi sono aumentati del 4,7% in Belgio, del 3,4% in Germania, e del 2,7% nei Paesi Bassi, ma sotto il target in Portogallo (1,3% ) e Grecia (1,2%). L’inflazione dovrebbe aiutare in modo implicito, con la svalutazione, le economie dell’Europa meridionale nel loro cammino verso la ripresa, ma quelle che hanno più inflazione sono quelle in cui la situazione politica è più tossica. Poi c’è l’Italia. Un tasso di inflazione del 2,6% dovrebbe essere una buona notizia per Roma, il cui debito pubblico è ora pari a circa il 156% del pil. L’inflazione dovrebbe rendere quel debito più gestibile nel tempo. Ma anche ciò è discutibile, dal momento che un aumento più rapido dei prezzi potrebbe innescare tassi di interesse più elevati, che metterebbero a dura prova le finanze pubbliche.

Se l’inflazione risultasse persistente, la Lagarde dovrebbe abbandonare le politiche eccezionalmente espansive della Bce. Ciò include il programma di riacquisto di titoli di Stato che è diventato il suo strumento principale per sopprimere i costi di finanziamento dei governi. La Bce ha assorbito tutta l’emissione netta di titoli pubblici dell’Italia nel 2020, secondo le stime dell’Istituto di Finanza Internazionale. Solo questo programma, che può essere però inflazionistico, può proteggere l’Italia dalle ripercussioni devastanti sui tassi di interesse di una maggiore inflazione. La notizia di martedì sottolinea che l’attuale esplosione dell’inflazione è globale. Le autorità monetarie sembrano sempre più trattare il tema come una scusa per mantenere le attuali politiche – «Lo stanno facendo tutti gli altri!» – piuttosto che un avvertimento. Nessuno vuole discutere al momento se sia il caso che i banchieri centrali comincino a coordinare un’uscita dalle loro politiche di crisi da Covid. Invece tutti preferiscono aspettare per paura di essere i primi a muoversi, oppure fingono di iniziare a parlare di stretta ma poi non lo fanno. Aspettatevi il turno della Lagarde nel passare la patata bollente alla leadership monetaria globale. Avevamo sperato che questo impulso di andare da soli si sarebbe rivelato transitorio, ma finora si sta dimostrando fin troppo ben ancorato.

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Fonte: Milano Finanza del 03/09/2021