E’ giusto ricordare e accettare quanto sia naturale che non tutti abbiamo successo in tutte le attività che intraprendiamo e che in alcuni casi possiamo fallire e riconoscere che “non era la nostra strada”
di Bernardo Bertoldi*
Negli ultimi articoli, Family and trends ha sostenuto che non è rendendo la cosa più semplice che si attraggono i giovani nell’attività di famiglia e che è un dovere di ogni famiglia imprenditoriale assicurare almeno un imprenditore in ogni generazione che possa evolvere ed adattare l’azienda al mutato contesto competitivo, rifondandola o “ricomprandosela”. Il sostenere che imprenditori non si nasce ma si diventa con l’educazione e con un non facile percorso di crescita dentro e fuori l’azienda di famiglia ha suscitato qualche “protesta” da parte di giovani (e meno giovani) sul fatto che non si può ipotizzare che tutti abbiamo la passione imprenditoriale e tanto meno che tutti coloro che ce l’hanno siano poi bravi imprenditori.
È giusto ricordare e accettare quanto sia naturale che non tutti abbiamo successo in tutte le attività che intraprendiamo e che in alcuni casi possiamo fallire e riconoscere che “non era la nostra strada”. È, invece, sbagliata e dannosa per i giovani (e meno giovani) l’idea radicata nella società attuale che la ricerca incessante della realizzazione di sé e delle proprie passioni sia un imperativo categorico dell’uomo e che dia il senso alla propria esistenza.
“Segui la tua passione” è un pessimo consiglio perché inverte il nesso di causalità: non esiste una passione congenita che ti farà fare bene qualcosa per incanto; il nesso è prima fai bene qualcosa e poi, come conseguenza, ne acquisisci la passione. L’idea che esista nel mondo un’attività pronta per te che realizza una tua passione innata e che ti guiderà alla felicità e alla realizzazione di te è romantica e affascinante ma falsa e, potenzialmente, nociva perché apre la strada a una vita di frustrazione per l’impossibilità di trovare questa attività o per il dover constatare che trovata non ti piace quando la inizi a fare davvero o, ancora peggio, perché pensi di averla trovata ma non puoi accedervi per mancanza di capacità, di opportunità, di fortuna. Quando si instilla l’idea della passione innata, ci si tende a chiedersi cosa il lavoro faccia per la realizzazione della nostra passione e si diventa super critici per ogni attività perché se ne evidenzia la parte che non soddisfa la nostra passione.
Chi ha contribuito alla diffusione dell’ipotesi della passione congenita è stato Steve Jobs, quando nel suo discorso del 2005 ai laureandi di Stanford, Jobs spronò i ragazzi alla continua ricerca della propria passione e a non mollare e combattere contro chi e cosa vi si opponesse. Terminò il discorso con il famoso motto: “Stay Hungry! Stay Foolish!”. La storia di Jobs smentisce l’ipotesi della passione congenita: non fu folgorato alla vista del primo circuito stampato da cui pensò di cambiare il mondo e diventare un’icona dell’epoca dei personal computer. Voz, cofondatore di Apple, racconta che all’inizio erano dubbiosi sul successo e Jobs disse: “Anche se non dovessimo recuperare i soldi investiti, almeno saremo due buoni amici con la loro azienda”. Jobs, prima, si mise a fare una cosa bene e, poi, ne divenne appassionato. Se Jobs avesse seguito quello che pensava fosse la sua passione sarebbe diventato il più popolare dei professori di filosofia orientale del sud della California.
L’ipotesi della passione congenita sostiene che ognuno di noi ha una passione dentro di sé e che la strada per la felicità stia nella instancabile ricerca di un’occupazione che titilli questa passione. Steve Job in persona dimostra che il nesso di causalità è invertito: prima fai bene una cosa e poi ti ci appassioni.
Roberto Benigni, in Italia, è un altro buon esempio a supporto dell’inversione del nesso di causalità. I suoi enormi successi ci farebbero immaginare un giovanissimo Benigni affascinato dalle luci del cinema tipo bimbo di Nuovo Cinema Paradiso e poi, una volta folgorato da una passione irrefrenabile, spinto da un talento innato verso una facile e scintillante carriera. Due fatti ci devono far pensare. Il primo: Benigni è un ragioniere diplomato, ha passato parte della sua vita sulla partita doppia e non folgorato dalle luci della ribalta. Secondo: Benigni sa a memoria la Divina Commedia e sa contestualizzare ed interpretare i tantissimi personaggi che il Poeta vi ha descritto; sono attività chiave per fare bene l’attore ma, come ogni studente che abbia mandato a memoria anche solo un canto può confermare, saperle padroneggiare ha più a che fare con la fatica e l’impegno che con il talento innato.
Jobs e Benigni insegnano ai giovani di famiglie imprenditoriali che il segreto non è focalizzarsi inizialmente su ciò che piace ma su come applicarsi. Ecco perché l’approccio “segui la tua passione” è un consiglio estremamente pericoloso da seguire: fa concentrare su cosa un lavoro offre. L’approccio imprenditoriale è opposto: fa focalizzare su quale valore si crea con il proprio lavoro. La passione è un effetto collaterale del fare bene qualcosa.
Quando si fa bene qualcosa si hanno impatto, controllo e creatività. Impatto significa poter cambiare il contesto che ci circonda, controllo significa poter guidare il cambiamento e non essere guidato da ciò che succede, creatività significa applicarsi a un problema complesso trovando soluzioni nuove. Fate un lavoro che ha queste tre caratteristiche e provate a non appassionarvene.
Far bene qualcosa permette di immergersi in attività in cui si ha impatto, controllo e creatività e pian piano l’attività diventa ciò in cui ci identifichiamo come persone: diventa una vocazione. La vocazione è un modo di fare il proprio lavoro diverso dall’occupazione che è un mezzo, spesso noioso e insoddisfacente, per guadagnarsi da vivere, e dalla carriera che è un percorso verso un lavoro migliore in termini di stipendio e posizione.
Diventare imprenditori è un’attività che identifica come persone, è una vocazione che si raggiunge con la fatica e con l’impegno nel fare qualcosa bene e, poi, dopo che si è fatto tutto questo è anche una passione.
* Docente di Family Business Strategy, Università di Torino – bernardo.bertoldi@unito.it
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Fonte: Il Sole 24 Ore del 01/10/2022