La relazione di Patuelli. Il presidente dell’Abi: «Un volano per la crescita. La pandemia non ha trovato impreparato il mondo bancario in Italia»
di Laura Serafini
L’uscita dall’Italia dalla pandemia passa dalla capacità di «incoraggiare i risparmiatori», dunque le famiglie italiane, «ad investire» non solo in titoli di Stato, «ma anche in obbligazione convertibili e in azioni di società». È necessario riuscire a portare una buona parte dei mille miliardi parcheggiati dalle famiglie sui depositi, cresciuti durante la pandemia, a sostenere direttamente l’economia reale. È il passaggio più urgente e forse più significativo della relazione del presidente Antonio Patuelli all’assemblea annuale dell’Abi. Un obiettivo che si può raggiunge intervenendo sulla leva fiscale. L’aliquota sui conti correnti (26% a fronte di un rendimento dello 0,03%) , ad esempio, determina «un gettito irrilevante per lo Stato». Se i risparmi dei «cassettisti» e non degli «speculatori» venissero «fiscalmente agevolati – ha spiegato – con aliquote progressivamente ridotte in proporzione alla durata degli investimenti, mediamente più redditizi dei depositi in conto corrente, l’aumento dei rendimenti remunererebbe maggiormente i risparmiatori e lo Stato». Secondo il presidente, «con le risorse europee e i risparmi privati di famiglie e imprese, l’Italia ha la possibilità di grandi investimenti, per un accelerato sviluppo sostenibile per la crescita economica, sociale e civile». Anche l’Irap «di dubbia costituzionalità» andrebbe corretta.
La necessità di smobilizzare le risorse sui depositi – oltre 1.700 miliardi secondo l’Abi – è stata sottolineata ieri anche dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Il governatore ha sollecitato le banche a proporre prodotti di risparmio gestito per portare i fondi oggi sui depositi «verso l’attività produttiva anche sotto forma di capitale di rischio».
La ripresa, però, ha bisogno che siano ancora una volta le banche ad assumere un ruolo proattivo, così come hanno fatto durante l’emergenza Covid-19. «La pandemia non ha trovato impreparato il mondo bancario in Italia che, dopo importanti, complessi e costruttivi negoziati fra l’Abi e le organizzazioni sindacali del settore, a fine 2019 aveva realizzato il nuovo lungimirante contratto nazionale di lavoro che prevede anche forme di lavoro inaspettate e ha favorito il costante dialogo costruttivo che ha permesso di definire continuamente nuovi accordi anche per tempi eccezionali», ha detto Patuelli, ricordando il grande sforzo per mettere in piedi la macchina delle moratorie (2,3 milioni di richieste) e dei prestiti garantiti, che oggi hanno raggiunto quota 200 miliardi. Misure che vanno mantenute finchè serve, ha chiosato. Anche se ora inizia una riduzione progressiva, il cosiddetto phase out: le moratorie sono state prorogate al 31 dicembre, ma solo per la quota capitale; per i prestiti è stata ridotta la garanzia.
«La riduzione delle garanzie sui prestiti» serve ad aumentare «l’analisi del merito di credito sulle imprese» ha detto Visco. E il ministro dell’Economia, Daniele Franco, è andato oltre. «Con la ripresa è fondamentale che ci sia una selezione del merito del credito – ha osservato -. Questo scrutinio è fondamentale, è precondizione per una crescita di medio e lungo periodo a tassi più elevati». Un’analisi che, secondo il ministro, dovrà incrociare anche le prospettive di business tenendo conto del potenziale impatto sulle attività dei rischi ambientali. Selezione in base a merito di credito, resilienza rispetto ai rischi per i cambiamenti climatici e alla rivoluzione digitale: è questo che le autorità politiche e di vigilanza chiedono ora alle banche. Dovranno essere loro a stabilire i criteri in base ai quali verranno scelte le imprese che saranno supportate rispetto a quelle che non hanno prospettive di ripresa. E questo perchè dopo l’estate il governo comincerà a lavorare a una nuova gamma di strumenti di supporto mirato (e non più indiscriminato per tutti) per le imprese. In particolare sarà riorganizzato il sistema delle garanzie pubbliche, a partire da quelle erogate dal fondo per le Pmi, anche per tenere conto anche dei settori che potranno essere impattati dalla transizione energetica.
Patuelli non lo direbbe mai, ma certo passare da politici che chiedevano di dare soldi a tutti e in fretta a un esecutivo che vuole rigore e selettività è un bel cambio di marcia. Sarebbe più semplice se regole di vigilanza bancaria non fossero così stringenti. «La Vigilanza della Bce ha introdotto provvedimenti di flessibilità e di stabilità per prevenire crisi bancarie. Altri organismi europei, dal più ampio perimetro di Paesi membri, come l’Eba, ora a 27, hanno alternato flessibilità e rigidezze». E poi :« La nuova definizione di default e le regole più stringenti del calendario dei crediti deteriorati mal si sono conciliate con la pandemia», ha detto. Patuelli ha ricordato anche l’impegno per ridurre i costi di struttura delle banche, «con piani industriali discussi con le rappresentanze sindacali, rifiutando il licenziamento come metodo per ridurre il personale». Un approccio che gli è valso il plauso del segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, secondo il quale Patuelli «è uno dei migliori presidente della storia dell’Abi». Un’associazione «mai rassegnata», «indipendente e austera», impegnata in una «quasi rifondazione di se stessa con il metodo della trasparenza e della collegialità» che per dodici mesi (almeno) vedrà Patuelli sulla tolda.
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Fonte: Il Sole 24 Ore del 07/07/2021