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Tra record e banche centrali in ritirata: ecco la mappa dei rischi sulle Borse

By 20/12/2021No Comments
Mercati. La svolta di Fed, Bce e Bank of England arriva nel momento in cui le Borse (soprattutto in Usa) mostrano non pochi eccessi: earning yield ai minimi, debiti a Wall Street al top. Gli analisti restano positivi, ma la vulnerabilità dei mercati aumenta

Per anni i banchieri centrali hanno ripetuto che la politica monetaria era entrata in un «terreno inesplorato». E ora, dopo oltre un decennio di politiche da parte di Fed, Bce &C che continuiamo a chiamare «non convenzionali» sebbene siano diventate la norma, sono i mercati finanziari ad essere entrati in un terreno inesplorato. A mostrare comportamenti e valutazioni mai visti prima o da molti decenni: i rendimenti reali dei titoli di Stato sono ai minimi storici in America ed Europa, gli earning yield a Wall Street sono scesi ai minimi da fine anni 40, i debiti per comprare azioni sono sui massimi, le valutazioni dei titoli tech sono elevate, le famiglie americane non avevano mai avuto un’esposizione così elevata sul mercato azionario. Il tutto mentre l’inflazione negli Usa è sui massimi dal 1982. La novità del 2022 è che, in questo contesto sui mercati finanziari, le banche centrali si preparano a ritirare le politiche ultraespansive che tanto hanno sostenuto le Borse fino ad ora: la Fed ha annunciato mercoledì la chiusura a marzo del quantitative easing, tre rialzi dei tassi nel 2022 e altri tre nel 2023; la Bce ha confermato la chiusura della politica pandemica a marzo; la Bank of England e la norvegese Norges Bank hanno già iniziato ad aumentare il costo del denaro.

Basta mettere in fila un po’ di grafici, per capire quanto sia stretta la strada che le banche centrali dovranno percorrere per ritirare gli stimoli senza creare contraccolpi sui mercati finanziari e senza minarne la stabilità. Soprattutto negli Stati Uniti. Non è un caso – come emerge da un sondaggio di Bank of America – che secondo gli investitori il principale rischio del 2022 sia proprio l’inversione di rotta delle banche centrali. Questo non significa per forza che ci sia una bolla pronta a scoppiare: secondo lo stesso sondaggio solo il 10% degli investitori globali lo teme. Non significa neppure che Wall Street e le Borse non possano più salire nel 2022: tante banche d’affari (come per esempio BlackRock) vedono ancora rialzi, sebbene più cauti rispetto al 2021. E la reazione positiva delle Borse a caldo dopo le “strette” annunciate da Fed, Bce e Bank of England (sfumata però giovedì e venerdì con forti cali) sembrerebbe dimostrarlo. Significa però che i mercati si muovono su un crinale inedito, e che il compito delle banche centrali sarà delicato. Questo sarà il tema del 2022.

La via stretta della Fed

Se si guarda al passato, si nota che tutte le volte che la Federal Reserve ha alzato i tassi d’interesse Wall Street ha sempre reagito bene. Le politiche restrittive non sono dunque storicamente un problema per la Borsa. Come nota Giuseppe Sersale di Anthilia, nelle ultime 4 tornate di rialzi dei tassi Fed (nel 1994, 1999, 2004 e 2015) l’andamento di Wall Street è sempre stato positivo: «Nelle fasi in cui la Fed rialza i tassi, normalmente l’economia va bene e l’indice S&P 500 sale». Ma questa volta la situazione potrebbe essere diversa, per almeno due motivi. Da un lato, in un mondo che ormai è pieno di debiti pubblici e privati, la sensibilità all’aumento dei tassi d’interesse rischia di essere molto più alta rispetto al passato. Dall’altro i mercati finanziari sono molto esuberanti e “tirati”, per cui i rischi che qualcosa vada storto non mancano. «Oggi la Fed ha meno spazio di manovra sui tassi rispetto al passato, perché la sua politica diventa subito restrittiva per l’economia non appena alza i tassi d’interesse – osserva Maurizio Novelli, portfolio manager di Lemanik -. Il rischio che la Fed commetta un errore di politica è dunque più elevato che in passato».

“Droga” monetaria a Wall Street

Anche perché sono state proprio le gigantesche iniezioni di liquidità, realizzate dalle banche centrali, a sostenere i mercati soprattutto in questi due anni scarsi di pandemia. Basta guardare il rapporto tra la quantità di moneta M2 e la capitalizzazione di Wall Street: negli anni di pandemia la correlazione tra le due variabili è cresciuta, fino ad arrivare sui massimi da quando le banche centrali hanno avviato le politiche di quantitative easing. Per contro, durante la pandemia è calata in maniera netta la correlazione tra quantità di moneta M2 e Pil negli Stati Uniti. «Questo significa che la grande liquidità immessa nel sistema dalla Fed non si è tradotta più di tanto in crescita economica ma ha inflazionato Wall Street», commenta Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte. Cesarano da questo dato trae una conclusione ben precisa: «La benzina di Wall Street è la liquidità: ora che le iniezioni della Fed calano, la Borsa Usa potrebbe trovarsi a corto di carburante». Stessa analisi arriva dagli analisti di AlpineMacro: «Il rapporto tra moneta M2 e capitalizzazione di Borsa conferma la crescente vulnerabilità del mercato azionario».

Un altro modo per vedere questo fenomeno lo offre un altro record quasi storico: l’earning yield a Wall Street è sui minimi dai temi di Truman Presidente, tra la fine degli anni ’40 e i primi anni ’50. L’earning yield si ricava dividendo gli utili con il prezzo delle azioni: di fatto questo indicatore mostra la redditività delle azioni stesse. Il fatto che sia sui minimi dai tempi di Truman significa che i prezzi sono saliti più degli utili delle aziende. Bene inteso: i profitti sono saliti, eccome. Ma i prezzi delle azioni, sostenuti appunto dalla liquidità delle banche centrali, sono cresciuti più velocemente.

Gli altri eccessi

Quante anomalie abbia prodotto l’abbondante liquidità e i tassi a zero si vedono nei numerosi record espressi dal mercato. Il «margin debt», per esempio, è sui massimi storici. Questo termine indica il debito che gli investitori fanno per comprare azioni o titoli sui mercati: i tassi bassi e la liquidità hanno favorito il loro indebitamento. È vero che ultimamente sta calando in rapporto alla capitalizzazione di Wall Street e secondo tanti in generale la leva sui mercati non è eccessiva. Il problema è che il «margin debt» è un moltiplicatore dei rialzi quando sul mercato c’è fiducia e dei ribassi quando la fiducia svanisce. Dunque può diventare un boomerang.

Stesso discorso se si guardano i multipli di alcuni settori, in particolar modo il tech. È Kasper Elmgreen, Responsabile dell’azionario di Amundi, a sottolinearlo: «Oggi il rischio principale sulle Borse riguarda le valutazioni. Ci sono intere porzioni del mercato, come le società tech oppure le aziende che non fanno utili ma crescono sui listini, che hanno valutazioni troppo elevate. Su questi settori siamo già oltre i livelli della bolla dot.com del 2000. Servirebbero tassi bassi per sempre e crescita economica forte per mantenere sostenibili questi prezzi. Ma non accadrà». Un altro record è infatti quello delle aziende a Wall Street che salgono in Borsa ma non producono utili: nell’indice Russell 3000 hanno superato anche i livelli del 2000. Ma i record non finiscono qui: è sui massimi storici (45,7% del totale portafoglio) anche l’esposizione sul mercato azionario delle famiglie americane. E così via: la lista dei primati potrebbe continuare.

Il nodo del 2022

In questo contesto la domanda da porsi è: come reagiranno Wall Street e i mercati alla stretta monetaria annunciata dalla Fed, al cambio di regime della Bce (pur con flessibilità) e ai rialzi dei tassi annunciati da altre banche centrali? In una situazione così inedita, le risposte degli investitori sono varie. Bruno Rovelli, Chief Investment Strategist di BlackRock Italia, pensa che l’economia e i mercati siano più resistenti di quanto non si tema: «Oggi l’economia è meno fragile rispetto agli anni post-Lehman, perché non c’è più una pressione sulle banche a ridurre il credito e perché i bilanci di famiglie e imprese sono più solidi di allora – osserva -. Noi crediamo che la Fed alzerà i tassi con cautela, per cui non pensiamo che possa mettere in crisi l’economia». Altri sono meno fiduciosi, ma il dibattito è aperto. Sta di fatto che – secondo il sondaggio di Bank of America – quasi la metà degli investitori ritiene che il rialzo dei tassi sia il principale rischio nel 2022. La tensione, insomma, c’è.

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Fonte: Il Sole 24 Ore del 19/12/2021