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Tutti i segnali indicano che il ritorno dell’inflazione sarà transitorio

By 25/05/2021No Comments

di Fabrizio Pagani*

Partiamo dai dati. L’inflazione «core» negli Usa ha raggiunto il 3% annuo, uno dei dati più alti degli ultimi 25 anni, mentre la «headline inflation», che registra anche la volatilità stagionale, è arrivata oltre il 4%. Nell’Eurozona il dato si ferma a 1,6%, ma è comunque in aumento rispetto ai mesi scorsi. In crescita anche nel Regno Unito, dove ha raggiunto l’1,5%. Tuttavia questo numero sarebbe più elevato in assenza di fattori calmieranti, come una temporanea riduzione dell’Iva in alcuni settori chiave. La domanda del momento è se questa inflazione sia temporanea oppure se stiamo perdendo via via un suo ancoraggio alle proiezioni delle banche centrali. Dopo decenni di bassa inflazione, una pressione sui prezzi consistente e di medio periodo avrebbe effetti pervasivi sull’economia. I mercati hanno già mostrato nervosismo. Tutti le asset class ne sarebbero coinvolte: equity, fixed income, real estate, cambi. Egualmente per i segmenti, prodotti e comparti, con un ovvio vantaggio per quelli, formalmente o di fatto, indicizzati all’inflazione. Il modo con cui guardiamo ai numeri delle imprese ne sarebbe condizionato. Gli utili e le p/e ratio, per esempio, sono destinate ad assumere valore diverso a seconda dei livelli d’inflazione e delle aspettative. Queste metriche dovranno tenere il passo con i livelli di inflazione, mentre fino a oggi crescita nominale e reale sono coincise. Questi sono effetti rilevanti per sé, ma lo diventerebbero ancor più se generassero una reazione dalle banche centrali. Su questo punto sono concentrati mercati e operatori economici. Dai verbali dell’ultima riunione della Fed, emerge che diversi componenti del board hanno menzionato l’opportunità, se la forza della ripresa sarà confermata, di iniziare a discutere una stretta della politica monetaria. Questo accenno al «tapering» è stato sufficiente per innervosire i mercati. Tuttavia non siamo ancora a quel punto: non ci sono segnali che l’inflazione non sia transitoria, aggettivo che il Presidente della Fed ha più volte utilizzato per definirla. Mario Draghi ha utilizzato il termine «temporaneo». È sempre più evidente che la pandemia e le chiusure hanno causato processi di dislocazione sul mercato di materie prime, componentistica, logistica e mercato del lavoro. In molti settori, domanda e offerta trovano difficoltà a incrociarsi in maniera fluida. Ripresa non lineare, strappi nella domanda, necessità di ricostituire magazzini determinano pressioni sull’offerta. L’aumento generalizzato dei prezzi delle materie prime ne è un esempio. Queste dislocazioni determinano volatilità di prezzi e dati, facendo saltare, verso l’alto o il basso, aspettative e previsioni economiche. Dislocazioni si vedono anche sul mercato del lavoro, come dimostrano le difficoltà di certi settori a ritrovare sufficiente forza lavoro o competenze adeguate. Al momento non pare che tali pressioni si stiano riversando sui livelli salariali. Sono quindi eccessive le preoccupazioni di risparmiatori e investitori? Forse, ma sappiamo quanto contino le aspettative d’inflazione sull’inflazione stessa. (riproduzione riservata)

*capo strategie di Muzinich&Co.,già direttore Ocse e sherpa G20

 

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Fonte: Milano Finanza del 25/05/2021