COME CAMBIA IL MONDO DEL CREDITO
di Marco Onado
La crescita del Fintech supera ormai da anni quella dell’intermediazione tradizionale e la pandemia ha accentuato il fenomeno. Rispetto al 2013, il totale delle attività è triplicato, mentre quello del sistema bancario ufficiale è poco più che raddoppiato. Come tutte le rivoluzioni tecnologiche, la concorrenza produce effetti positivi, ma può anche avere conseguenze negative dal punto di vista generale.
Il Fintech promette servizi di pagamento, di prestito, di investimento che, grazie a tecnologie sofisticate, non richiedono l’intervento degli intermediari tradizionali. Il fatto è che comunque i servizi finanziari comportano rischi, che possono addirittura essere di rilievo sistemico. Ed è questa una delle ragioni della regolamentazione che ha sempre caratterizzato banche e mercati finanziari. L’entusiasmo per l’innovazione deve quindi tener presente questa verità fondamentale e ricordare che la Grande crisi finanziaria è stata determinata anche dalla crescita di un segmento dell’intermediazione non regolamentato (il cosiddetto shadow banking system) che alla fine ha trascinato con sé quello tradizionale. Abbiamo già dato, insomma e non è il caso di ripetere quella tragica esperienza.
Il Fondo monetario è fra le istituzioni internazionali più attente al mondo del Fintech cui ha dedicato un intero capitolo dell’ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria.
Il primo aspetto analizzato è quello delle banche digitali (dette “neobanche”) che operano senza sportelli, utilizzando una loro app per il contatto con gli utenti. La clientela cui puntano è quella delle persone che non hanno ancora una banca di riferimento e la loro chiave di successo è ovviamente l’efficienza della tecnologia adottata. Questi operatori hanno finora raggiunto una quota di mercato relativamente modesta, ma in alcuni Paesi (ad esempio la Corea del Sud) siamo già a valori di tutto rispetto; ovunque i tassi di crescita sono spettacolari. Tanto che il mercato ha puntato decisamente su questo comparto: in molti Paesi il valore di Borsa della neobanca più grande è vicino a quello della più grande banca tradizionale; in Corea addirittura sono alla pari . Questo può essere spiegato solo da attese di futuri profitti assolutamente eccezionali.
Il Fondo, comprensibilmente, non prende posizione al riguardo, ma ci offre un’analisi economica delle neobanche da cui emergono non pochi problemi. Il primo è che i rischi sono alti, non adeguatamente compensati dal tasso di interesse richiesto o da accantonamenti. Insomma: le neobanche ne escono promosse a pieni voti in tecnologia, ma sonoramente bocciate in tecnica bancaria. I margini aggiustati per il rischio sono quindi modesti e compensati da rendimenti più alti del portafoglio titoli, quindi ancora una volta dall’assunzione di rischi elevati. Come non bastasse, i costi operativi, contrariamente alle attese, sono consistenti: è vero che non ci sono sportelli, ma il personale è più qualificato e dunque meglio remunerato e i costi di acquisizione della clientela significativi. Tirate le somme, i profitti sono ancora modesti e in molti casi di là da venire, soprattutto nel mondo occidentale.
Un caso interessante è quello del mercato americano dei mutui ipotecari, in cui intermediari Fintech operano da circa dieci anni con una strategia di marketing aggressiva. Finora, le banche tradizionali non hanno visto ridursi significativamente la loro quota di mercato, ma a prezzo di una riduzione del loro margini. La concorrenza fa bene nell’immediato, ma ancora una volta si tratta di accertare se i tassi offerti dalla nuova finanza sono adeguati al rischio. Anche la svolta dei mutui subprime era stata accolta come salutare.
Un’altra applicazione importante delle nuove tecnologie è quella della finanza decentralizzata e in particolare dalle piattaforme che offrono servizi di prestito, sulla base di stablecoins, cioè criptovalute il cui valore è ancorato a un paniere di attività che dovrebbero mantenerlo stabile. Anche qui la crescita è spettacolare, ma i rischi sono elevati. Gli stablecoins sono una bella invenzione, ma come aveva già ammonito la Banca dei regolamenti internazionali, hanno il piccolo difetto di essere tutt’altro che stabili. L’effetto netto è che il rischio di liquidità è elevato, anche perché la finanza decentralizzata è caratterizzata da una forte concentrazione delle fonti: metà dei depositi vengono da meno di 10 conti e anche meno nel caso delle criptoattività meno diffuse.
Insomma, la nuova finanza sta crescendo, non ha ancora minacciato la posizione delle banche tradizionali, soprattutto nel mondo occidentale, ma sta accumulando rischi elevati, che possono diventare anche di rilievo sistemico. Gli investitori non sembrano preoccuparsi più di tanto e stanno facendo lievitare i prezzi delle azioni dei nuovi attori a valori molto elevati e certo non suffragati dagli utili attuali né da quelli prevedibili a medio termine. Il che genera almeno due considerazioni.
1 Occorre garantire parità di condizioni concorrenziali fra la finanza tradizionale e la nuova. Ci sono molte difficoltà tecniche e giuridiche da superare, ma ormai il fenomeno è troppo consolidato per aspettare ancora. Certo: la regolamentazione costa, ma è il prezzo da pagare per ridurre al minimo la probabilità di crisi. Quindi, non si vede perché non debba essere sopportato dalla nuova finanza in misura proporzionale alla vecchia. Naturalmente poiché la nuova finanza non ha confini, occorre un consenso internazionale, esattamente come è stato fatto negli anni Ottanta per la regolamentazione del capitale delle banche.
2 L’analisi del Fondo consolida il sospetto che si siano formate bolle speculative sulle azioni dei protagonisti della nuova finanza, esattamente come era avvenuto alla fine del secolo scorso per le imprese tecnologiche. Anche allora il mercato aveva commesso l’errore tipico delle bolle, a cominciare da quella sui tulipani nell’Olanda del Seicento. Quella di credere che un’idea innovativa sia di per sé fonte di successo. Al contrario, nelle grandi fasi di trasformazione per ogni imprenditore come Steve Jobs ce ne sono centinaia che falliscono e così succederà nel mondo del Fintech. Questo oltre che essere un ulteriore elemento per rendere urgente una regolamentazione è un monito per gli investitori che credono ciecamente all’innovazione. Guardate al futuro della tecnologia, ma anche al passato delle lacrime versate (in ritardo) da tanti investitori troppo ottimisti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Fonte: Il Sole 24 Ore del 03/05/2022