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Una sfida che oppone i libertari digitali alle banche centrali

di Alberto Albertini

Le criptovalute, con spunti che vanno dalla loro vertiginosa volatilità all’uso per il pagamento di riscatti, dai tweet di Elon Musk al discorso del presidente della Consob, sono argomento di tutti i giorni. Difficile, però, orizzontarsi su un tema che mette insieme il “mistero” della moneta, l’informatica, il ruolo delle banche centrali, i lati oscuri di Internet. Proviamo a cercare punti fermi, partendo dalle definizioni.

Fra vari tipi di criptovalute, quelle “classiche” (Bitcoin e similari) sono definibili “moneta privata digitale”, in quanto mezzo di pagamento non emesso da una istituzione pubblica e circolante nella forma di messaggi digitali. Quali sono le effettive differenze rispetto alla moneta tradizionale, che definiamo “moneta pubblica” e “legale”?

Contrariamente a quanto molti pensano, la moneta che usiamo tutti i giorni è solo in minima parte “moneta pubblica”, perché tale è solo il danaro fisico, banconote e monete metalliche, in quanto emesse da una istituzione pubblica, la banca centrale. Ben più importanti per i pagamenti sono i depositi bancari, le cui dimensioni complessive sono un multiplo dello stock di banconote e monete in circolazione (nel regno Unito il rapporto è 95% depositi, 5% banconote e monete) e la cui natura è quella di “moneta privata”, in quanto debito di società di diritto privato, le banche.

I depositi bancari sono, inoltre, “moneta digitale”, perché trasferibili mediante messaggi digitali. La “moneta privata digitale” è dunque tutt’altro che una novità, non è appannaggio esclusivo delle criptovalute, esiste da prima della loro nascita ed è la normalità nei pagamenti.

La vera differenza sta nel fatto che creazione e circolazione della moneta bancaria sono “regolate”, “vigilate” e “tutelate” da una istituzione pubblica, la banca centrale, in via diretta e indiretta. Nulla di tutto questo per le criptovalute, come si vede nel caso del Bitcoin:

  • O il passaggio di proprietà dei Bitcoin non richiede l’intervento di un intermediario fiduciario (la banca) che certifichi la correttezza della operazione e garantisca il buon fine; tale ruolo viene svolto, con la tecnologia informatica della blockchain, dagli utilizzatori stessi dei Bitcoin (i cosiddetti miner);
  • O non vi è una Istituzione preposta alla emissione dei Bitcoin, i quali vengono creati automaticamente in pagamento del lavoro fatto dai miner;
  • O la creazione di Bitcoin ha un tetto massimo conosciuto, il che, insieme al costo della attività svolta dai miner (l’energia elettrica necessaria per i loro apparati informatici) rappresenta un riferimento per l’individuazione di un ipotetico “valore intrinseco” del Bitcoin.

Quello dei Bitcoin è dunque un mondo a se stante, autoregolato e “impermeabile”: attraente per gli innamorati del libertario e del digitale così come per chi intende utilizzarli per scopi illegali. Ma anche, dato l’effetto di crescente scarsità insito nel meccanismo di creazione, per chi li vede come investimento o pura speculazione.

È singolare che sia tuttora privo di controlli un fenomeno che per i valori in gioco ha raggiunto dimensioni paragonabili a quelle di iper-regolati mercati finanziari. Da qui le preoccupazioni delle autorità.

Meno immediato il tema della possibile concorrenza diretta alla moneta tradizionale, anche se il rischio è quello di ritrovarsi a rincorrere l’intraprendenza dei giganti della informatica applicata, quelli che tramite i loro servizi e prodotti hanno un contatto diretto con miliardi di persone, familiarità con le loro abitudini nei pagamenti, la loro fiducia.

In risposta, le banche centrali hanno allo studio l’ipotesi di una “moneta pubblica digitale”, la cosiddetta Central bank digital currency (Cbdc).

In senso ristretto, la Cbdc potrebbe consistere nella semplice trasformazione in digitale delle banconote e delle monete in circolazione (l’unica “moneta pubblica”). Tecnologicamente ci si potrà arrivare con soluzioni tali da permettere a tutti di rinunciare al danaro fisico senza essere costretti ad avere un conto bancario e uno smartphone con la connessione sempre aperta. Si potrà replicare in digitale una modalità di pagamento forse mai completamente eliminabile senza “turbare” l’assetto bancario/finanziario. Vi è però da considerare una “turbativa” di altro genere: a seconda della soluzione tecnologica scelta può aprirsi la possibilità di controllare i flussi al fine di contrastare l’evasione fiscale, i pagamenti illegali ecc. Su questo punto sono probabili discussioni infinite.

La introduzione della Cbdc, in realtà, potrebbe andare ben oltre, al limite fino alla possibilità per il privato cittadino di avere conti di deposito di “moneta pubblica digitale” presso la banca centrale, movimentabili come normali conti bancari. In tal caso la Cbdc, entrando in concorrenza diretta con la moneta bancaria, potrebbe incidere profondamente sull’assetto esistente.

Le banche centrali debbono prendersi il tempo per ben valutare la portata della Cbdc date le implicazioni che la soluzione può avere per l’attività bancaria. D’altra parte non vi devono essere tabù. Non è scandaloso che il progresso porti a ripensamenti sul modo di fare banca che esiste, con pochi cambiamenti, da centinaia di anni. Ed è proprio l’invenzione della moneta bancaria il punto di partenza: il danaro sul mio conto corrente quando viene prestato dalla banca genera, al netto della riserva obbligatoria, denaro per qualcun altro. È così che avviene la creazione di nuova moneta, un processo che alcuni definiscono “miracoloso”, come lo è l’autocreazione dei Bitcoin.

Ad di Banca Albertini

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Fonte: Il Sole 24 Ore del 23/06/2021