di Marta Casadei
Dopo il Covid, le pmi sono la tipologia di impresa più numerosa sul listino Euronext Growth Milan. La scelta ha ripagato con un aumento dei ricavi superiore a quello registrato nelle altre piazze europee.
Dal primo gennaio 2020 alla prima metà del 2022, le imprese familiari hanno rappresentato la netta maggioranza (88,5%) delle quotazioni avvenute alla Borsa di Milano nel segmento Euronext Growth. La percentuale più elevata in Europa. E sono quelle che nel 2021 hanno performato meglio: hanno registrato un rimbalzo dei ricavi nel 2021 pari al 27,3%, superiore sia alle aziende familiari degli altri mercati Euronext (+21,1%) che a quello delle imprese non familiari italiane (+23,5%).
I numeri arrivano dalla XIV edizione dell’Osservatorio Aub sulle aziende familiari presentato il 30 gennaio e promosso dalla Cattedra AIDAF–EY di Strategia delle Aziende Familiari dell’Università Bocconi, da AIDAF, da UniCredit e dalla Fondazione Angelini, con la collaborazione di Borsa Italiana e della Camera di Commercio di Milano Monza-Brianza Lodi.
Quotarsi per crescere
Lo studio, nel complesso, prende in esame le oltre 11mila aziende familiari con ricavi superiori ai 20 milioni di euro e offre uno spaccato interessante sulle realtà che hanno scelto la quotazione (sul segmento Euronext Growth, ex Aim) per crescere. In un confronto su scala europea – con una base di 1.992 aziende quotate sui mercati controllati da Euronext – Milano è la seconda piazza dietro Parigi per numero di aziende quotate: 422. Di queste, il 74,4% è a controllo familiare e la quota di controllo è del 60% circa. La più alta in Europa insieme alla Francia.
«Il listino negli ultimi anni ha attratto aziende che rappresentano la linfa vitale del nostro paese e hanno scelto di portare avanti un progetto di crescita sano con capitali di rischio e non di debito, come accadeva in passato – spiega Fabio Quarato, docente dell’Università Bocconi, e managing director della cattedra Aidaf-Ey in Strategia delle aziende familiari -. La Borsa oggi è uno strumento che funziona per le piccole imprese, mentre il private equity è più orientato verso aziende grandi e mature dove il mercato fa più fatica a intravedere percorsi di crescita a doppia cifra. Le quote elevate in mano alle famiglie? Si è capito che mantenere l’imprenditore in controllo non è la fonte di tutti i mali».
Buone performance su ricavi e redditività
Al di là dell’attrattività che la Borsa esercita sulle aziende familiari italiane, i dati economici positivi dimostrano come la quotazione sia un driver per questa tipologia di impresa: le aziende familiari quotate su questo segmento a Milano non solo hanno performato meglio in termini di ricavi, come già detto, ma hanno superato i valori di redditività del 2019 (ROE 2021 pari al 9,1% versus 7,3% del 2019), performando meglio sia delle aziende non familiari italiane (7,1%) che quello delle altre imprese familiari quotate all’Euronext (4,4%). Il confronto con il periodo pre pandemia è vinto anche sul fronte dell’indebitamento con il rapporto tra posizione finanziaria netta ed Ebitda che si è ridotto a 2,9 contro il 3,1 del 2019.
«Le aziende hanno lavorato molto sulla governance – spiega Quarato – per attrarre capitali e questo ha senza dubbio aiutato. La pandemia, poi, ha portato lezioni chiave, mettendo in luce alcuni punti di forza di questo tipo di imprese: per esempio la rapidità decisionale e la flessibilità della realtà familiare rispetto alle multinazionali. Abbiamo visto che tutti i programmi di investimento sul lungo periodo sono stati portati avanti o a termine senza timore». Almeno fino a sei mesi fa: «Si è preso coscienza del fatto che l’aumento dei costi e l’inflazione non saranno temporanei e quindi, nonostante il contesto, si impone la necessità di investimenti in innovazione e tecnologia per recuperare efficienza».
Resistenze culturali da scardinare
La propensione agli investimenti (in alcuni casi ancora ridotta) svela le “ombre” che ancora si allungano sulle imprese familiari: «Alcuni imprenditori non pianificano il passaggio generazionale o lo fanno solo quando costretti e così ci ritroviamo con il 28% delle imprese guidate da ultra 70enni, pochi under 35 nei Cda e anche presenze femminili nella media. Una serie di resistenze culturali che si fa fatica a scardinare». I dati lo confermano: secondo l’Osservatorio Aub le aziende quotate alla Borsa di Milano con almeno il 33% di consiglieri donna sono pari al 52,5% mentre quelle con almeno un consigliere con età inferiore a 40 anni sono pari al 35 per cento.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articolo tratto da “Il Sole 24 Ore” del 04/02/2023