I mercati temono l’effetto dell’aumento dei prezzi su tassi e stimolo monetario. Ma finora sia la Fed sia la Bce hanno sottolineato che i dati sono condizionati da fattori temporanei. Ecco quali
di Francesco Ninfole
I mercati sono sempre più guidati dalle aspettative di inflazione, che spingono al rialzo i tassi dei titoli di Stato e degli altri bond. Inoltre c’è la preoccupazione che le banche centrali siano obbligate a ritirare le misure espansive per raffreddare i prezzi. I timori si sono accentuati dopo l’ultimo dato sull’aumento dei prezzi negli Usa, che è arrivato ad aprile a +4,2%. Anche nell’Eurozona c’è stato un rialzo, sebbene su livelli inferiori (+1,6%). In questo scenario, tuttavia, sia la Federal Reserve che la Bce hanno chiarito in più occasioni che l’aumento dell’inflazione fotografato dagli ultimi dati è temporaneo perché condizionato da fattori che continueranno per tutto il 2021 ma svaniranno dal prossimo anno.
La Fed ha elencato sei ragioni per cui l’incremento non deve spaventare: il peso rilevante della crescita dei prezzi dell’energia; il cosiddetto «effetto base» legato all’uscita dall’indice dei prezzi molto bassi di inizio 2020; l’impatto dello stimolo fiscale che è destinato a svanire nel tempo; l’impiego temporaneo dei risparmi accumulati; i colli di bottiglia momentanei dell’offerta delle aziende; la domanda di lavoro in eccesso, che si aggiusterà rispetto all’offerta nei prossimi mesi.
Perciò la banca centrale americana ha sottolineato che serviranno «molti mesi di dati» prima che possa cambiare la politica monetaria, anche se dalle minute dell’ultima riunione è emerso che alcuni membri hanno proposto di iniziare a parlare di tapering (ovvero di riduzione degli acquisti di titoli) in uno dei prossimi meeting, se saranno confermati i dati economici e sanitari positivi. In ogni caso l’obiettivo di inflazione della Fed è stato cambiato per consentire di restare oltre il 2% per un certo periodo di tempo senza strette monetarie, in modo da compensare i livelli prolungati sotto il target.
Nell’Eurozona lo scenario è in ogni caso differente. L’obiettivo resta quello di un’inflazione «sotto ma vicino» al 2% nel medio periodo, in attesa della revisione della strategia. Il target resta comunque lontano. Al contrario di quanto temono i mercati, molti banchieri centrali europei sono preoccupati per l’inflazione troppo bassa e per la persistente lontananza dall’obiettivo, che secondo alcuni economisti richiederebbe un aumento degli acquisti di titoli, più che una riduzione (voluta dai governatori più falchi capeggiati dall’olandese Klaas Knot).
L’appuntamento decisivo è il consiglio direttivo del 10 giugno, nel quale si deciderà sul ritmo degli acquisti di titoli nel piano pandemico Pepp, alla luce dei tassi e delle condizioni finanziarie (che devono rimanere «favorevoli» secondo Bce) e dell’outlook di inflazione (che non dovrebbe salire troppo rispetto all’1,4% atteso per il 2023).
Negli ultimi giorni, anche in seguito all’aumento dei tassi sui bond sovrani, i membri del consiglio di Francoforte sono apparsi molto cauti riguardo a un possibile tapering. Il momento di un calo delle operazioni sembra perciò allontanarsi. È possibile che sia rinviato a settembre. La presidente Christine Lagarde ha ribadito venerdì 21 maggio che «la Bce sta monitorando molto da vicino il rialzo dei tassi dei titoli di Stato» e che «è troppo presto ed è davvero inutile discutere di questioni a più lungo termine». Per Lagarde «i numeri dell’inflazione 2021, che vedremo salire, sono di natura temporanea e nel 2022 tornerà a livelli più bassi».
Su quest’ultimo punto c’è così identità di vedute con la Fed. Nell’ultimo bollettino economico Bce si sottolinea che l’aumento dell’inflazione «ha riflesso la forte crescita della componente energetica, che ha più che compensato la dinamica dei prezzi dei beni alimentari e dell’inflazione di fondo», come si osserva nel grafico in pagina. «Un ulteriore fattore di crescita è legato al venir meno a gennaio della riduzione temporanea dell’aliquota dell’Iva in Germania, che continuerà ad avere effetti sui tassi d’inflazione per tutto il 2021». Le dinamiche di fondo sui prezzi invece continuano a essere contenute. «Le pressioni salariali appaiono deboli e continuano a essere offuscate dagli effetti delle misure di sostegno pubblico», secondo la Bce.
Il capoeconomista di Francoforte, Philip Lane, ha sottolineato che non ci sarà vera inflazione fino a quando non ci saranno segnali positivi duraturi dal mercato del lavoro. «Al di là della volatilità di breve periodo, il tasso di inflazione a medio termine dovrebbe restare contenuto in un contesto di persistente debolezza della domanda e notevole capacità inutilizzata nei mercati del lavoro e dei beni e servizi», ha osservato in un’analisi su MF-Milano Finanza dell’8 aprile. «Riguardo alle pressioni complessive dal lato della domanda, è ragionevole aspettarsi un incremento dei consumi legato a effetti di recupero, soprattutto per attività come i pasti nei ristoranti o i viaggi di piacere. Tuttavia le famiglie potrebbero rimodulare i consumi aggiuntivi nel tempo e lo shock della pandemia potrebbe indurle ad accumulare riserve precauzionali, soprattutto nei Paesi dell’Eurozona più colpiti». In definitiva, come Lane ha precisato negli ultimi giorni, «resta ancora molto lavoro da fare» per riportare l’inflazione vicino all’obiettivo del 2%.
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Fonte: Milano Finanza del 22/05/2021